La storia argentina è stata scritta molto spesso col sangue, sparso per le divisioni politiche che alla fine non hanno mai risolto nulla e che hanno solo dimostrato, nel corso dei secoli, che la violenza non costruisce nulla. Fin dall’inizio della sua storia, un Paese ricchissimo e da sempre sottopopolato ha sofferto conflitti, putsch, colpi di Stato e repressioni che purtroppo, caso unico pure nel “caliente” Latinoamerica, paiono costituire un imprinting tuttora vigente.
Lo si è visto a Buenos Aires nelle ultime settimane: esattamente giovedì 14 e lunedì 18 dicembre la città è stata messa a ferro e fuoco da un vero e proprio esercito di violenti estremamente addestrati e organizzati, che hanno interrotto due grandi manifestazioni pacifiche. Viste le complicità all’interno della Camera dei Deputati (in ambedue i casi la piazza del Congreso de La Nacion è stata il fulcro degli incidenti), le indagini hanno fin qui dimostrato che gli eventi hanno fatto parte di un piano prestabilito per provocare, nel caos, la caduta delle istituzioni democratiche. Un “putsch” in piena regola, ma veniamo ai fatti: il 14 dicembre iniziava alla Camera la discussione sui cambi da attuare al sistema pensionistico per consentirne la sopravvivenza. Fatto che accade in molti Paesi dove, in gran parte per ragioni generazionali, le casse delle istituzioni delegate alle pensioni rischiano il collasso: la riforma prevede una serie di tagli iniziali ma un successivo miglioramento delle condizioni con una pensione legata agli indici dell’inflazione.
Almeno questo stando alle dichiarazioni del Governo, non condivise da molti esperti e anche da un’opposizione politica che però, specie per quanto concerne il kirchnerismo, nel corso di 13 anni di potere non ha mai attualizzato non solo gli aumenti (visto anche i dati falsi che mentivano spudoratamente sugli indici inflazionari), ma pure contravvenendo alla legge che prevede che il calcolo del monto mensile si riferisca all’82% della somma degli stipendi che percepisce la forza lavoro: solo il “neoliberale” Governo di Macri ha provveduto alla restituzione del danno subito, cosa che il populismo si è ben guardato dal fare.
Mentre il progetto di legge veniva discusso, nella piazza antistante il Congreso si svolgeva una grande manifestazione pacifica, con l’edificio della Camera circondato dalla Gendarmeria. Fino a quando sono apparsi gruppi di persone incappucciate che hanno iniziato a lanciare pietre, fatto che ha provocato sia lo scioglimento immediato della manifestazione, che si è ritirata dalla piazza, che l’attacco della Gendarmeria verso i dimostranti dopo che un gruppo di deputati del Fpv (Frente para la victoria, partito kirchnerista) ha tentato di far entrare alcuni manifestanti al Congreso, al cui interno altri deputati prendevano d’assalto la postazione del Presidente della Camera, bombardandolo di sputi e pugni, tentando di distruggere il microfono, per provocare la sospensione della seduta. Cosa che accadeva puntualmente, visto che ormai il caos, sia dentro che fuori la Camera, era totale, con diversi feriti anche tra i giornalisti che seguivano la vicenda.
Si rimandava tutto a lunedì, ma il copione cambiava solo perché il controllo della piazza passava dalla Gendarmeria a una Polizia Municipale disarmata da un’ingiunzione di una giudice pilotata da una richiesta di un deputato kirchnerista, che contemporaneamente avvisa i rivoltosi del campo libero che li attendeva. Detto fatto il caos si replicava ingigantito dal numero di squadre di assalto (circa un migliaio di persone rifornite da camion pieni di bastoni, mazze e fionde) che iniziano a distruggere la piazza per ricavare pietre da lanciare contro le inermi forze dell’ordine, che in breve si vedevano circondate, mentre all’interno del Parlamento molti deputati urlavano (falsamente) che la polizia stava attaccando una manifestazione pacifica, replicando l’invito a chiudere la sessione. Che però è continuata fino alle 8 del mattino successivo votando la legge, mentre fuori gli scontri si sono susseguiti fino a coinvolgere la centralissima Avenida 9 de Julio.
I manifestanti assaltavano e ferivano una ventina di giornalisti e operatori televisivi, oltre agli 85 poliziotti feriti: solo dopo 6 ore e con rinforzi della Gendarmeria si riusciva a riportare la calma, ma il bilancio purtroppo era gravissimo… non solo feriti e distruzione di monumenti e strade, ma anche soprattutto la convinzione di alcuni gruppi politici che la violenza potesse alla fine vincere sulla democrazia. Difatti le successive indagini hanno messo alla luce un’azione concertata allo scopo di provocare il caos.
Perché? Di certo non per venire in aiuto dei pensionati, le ragioni sono altre: la Giustizia in Argentina si sta muovendo e ormai gran parte dei personaggi del precedente Governo sono stati arrestati per cause che li coinvolgono in scandali di corruzione. E dalle loro celle iniziano a parlare, coinvolgendo sempre di più sia la ex Presidente Kirchner che i figli Maximo e Florencia, ambedue al centro dell’immensa corruzione che ha coinvolto un potere che, credendosi eterno, non ha nemmeno badato a coprire le prove delle sue malefatte. E solo dimostrando di poter tenere in scacco le Istituzioni, attraverso il controllo di gruppi facinorosi, vedono la possibilità di allontanare la scure della giustizia.
L’ordine di arresto per la Kirchner è stato bloccato dalla sua immunità parlamentare: ma proprio le istituzioni e anche la società hanno capito che se l’Argentina vuole avere un futuro non deve più ripetere la violenza che l’ha sempre contraddistinta, isolando chi vuol farla precipitare in una spirale fascista. Basta favole elargite da poteri menzogneri, il Paese ha bisogno di poter vivere la realtà per essere in grado di costruire quella Nazione che da ormai troppo tempo è solo nei sogni di gran parte della popolazione.