Dove tutto è iniziato, ora si dipana una delle matasse decisive in quella che è la corsa alla leadership del terrore internazionale fra Isis e Al Qaeda. L’Afghanistan è infatti la scacchiera su cui si posizionano i pezzi messi in gioco dalle due superpotenze del jihadismo e l’attentato all’agenzia di stampa afghana Tabian Media Center lo testimonia: 42 morti e più di 150 feriti. E due elementi ci fanno ragionare e puntare forte sul botta e risposta per la supremazia fra Isis, che ha rivendicato, e Al Qaeda che storicamente è maggioritaria nella regione: l’obiettivo dei giornalisti e il fatto che l’attentato sia stato fatto contro un’organizzazione culturale vicina sciiti. 



Sulla crudeltà e la devastazione, in termini umani e sociali, che porta con sé un attentato non c’è bisogno di soffermarsi, ma di certo va analizzato il contesto in cui questo avviene. Partiamo dalla questione dei giornalisti e dell’attacco ai mezzi di comunicazione, che è marchio di fabbrica qaedista e jihadista in genere e che oggi viene ripreso da Isis per tentare, ormai pedissequamente, di “certificarsi” agli occhi dei seguaci come un degno competitor se non come primo attore del terrorismo internazionale; “l’obiettivo giornalisti” è, peraltro, uno dei punti cardine del progetto della Fratellanza musulmana, che tende a zittire i media ritenuti nemici o ricettacoli di dissenso e certo possiamo vedere in questo atto, come in altri singoli che hanno preso di mira singoli cronisti in altri Paesi, un addentellato non di poco conto di questa strategia.



In questo contesto rileva poi, in maniera ancor più evidente, il fatto che l’attentato abbia preso di mira una realtà di orientamento sciita; nella situazione attuale infatti, dove sunniti e sciiti sono ormai tornati apertamente nemici giurati, il gesto rivela una duplice faccia: “gareggiare” internamente e all’esterno con Al Qaeda, che è tornata a farsi sentire in maniera potente, e allo stesso tempo inviare un segnale all’Iran, a significare che le milizie jihadiste di Isis sono in grado di colpire i suoi “avamposti” ovunque. Colpirono a Teheran, possono a maggior ragione farlo in altri luoghi, sfruttando a proprio vantaggio l’effetto mediatico per tentare di vincere la guerra di supremazia con i qaedisti. 



Cosa ci dice questo attentato? Che il convitato di pietra, cioè Al Qaeda, nonostante scetticismi e affrettati proclami funebri è forte, guida ancora il terrorismo internazionale e in Afghanistan mostra quanto ci si debba fare ancora i conti. Isis, che tenta di posizionarsi in vetta per prendere la leadership del progetto della Fratellanza al posto suo, indirettamente ne conferma l’immutata pericolosità. Duplice scontro, dunque, nell’Afghanistan maciullato da anni di guerra, occupazione e terrorismo: locale e globale si incontrano e si intrecciano nei passaggi del jihadismo internazionale, legato a stretto filo con le volontà di chi ha lasciato Kabul volontariamente nell’oblìo.