“Carneade! Chi era costui?”. Gli episodi di violenza che ogni tanto registra l’Australia, come quello recente di sembianza terroristica ma in realtà quasi certamente frutto di uno squilibrato, suonano da queste parti ancora un po’ come la perplessa e pensosa domanda di Don Abbondio. Ordinariamente, per la cosiddetta gente comune, è un po’ un sentito dire. Nella vicina Nuova Zelanda non è difficile trovare persino un allegro orgoglio nel sentirsi, almeno in questo caso fortunatamente, lontani e fuori tiro. Basti pensare che nei voli interni in Nuova Zelanda non serve nemmeno il documento, basta il codice a barre del biglietto. Tuttavia a livello governativo entrambi i paesi sanno di essere in una lista abbastanza nera, perché non c’è stata occasione che conti, negli ultimi decenni, in cui i due paesi abbiano fatto mancare il loro sostegno politico e pratico all’Occidente e agli Yankee in particolare. Strumentalmente dotato e deciso quello australiano, più segreto e raffinato quello delle forze speciali neozelandesi, ricco di aneddoti su capacità tecnico-tattiche militari del tutto peculiari. 



La dimensione, geografica e delle relazioni, rende molto più esposta l’Australia, che infatti ha conosciuto più di un episodio. E sembra che diversi altri siano stati sventati. Tuttavia l’atteggiamento è di governare il fenomeno e i rischi, evitare panico, clamore e anche demagogia. Un po’ come in economia. 



Negli ultimi anni del suo mandato John Howard, noto non solo per essere stato premier per lunghi anni in un paese politicamente molto più rissoso di quel che si pensa, ma anche per aver fatto sparare su una nave carica di immigrati clandestini all’inizio del 2002, avendo intuito — verrebbe da chiedersi come — alcuni seri rischi di scenario globale, chiese qualche sacrificio agli australiani ma è arrivato alla famosa crisi del 2007-2008 con un debito pubblico prossimo allo zero. Perdendo il suo personale seggio alle elezioni del 2007, peraltro. Forse è il vero paradigma del concetto di “anglosassone”, di un pragmatismo privo della retorica e dell’autocompiacimento americani, ma capace di esprimersi sulle cose che contano. 



Perciò gli episodi di terrorismo, compiuti o sventati in Australia, suggeriscono due osservazioni. La prima, quanto è complicato questo “nemico” e questo problema, se riesce a colpire anche in un paese così severo e organizzato nel controllo, nella selezione e nella gestione degli ingressi e dell’immigrazione in generale. La seconda è che andrebbe invece — con grande discrezione — studiata e conosciuta di più l’amministrazione della sicurezza in quei paesi. Paesi piuttosto diversi fra loro, Australia e Nuova Zelanda, tutto sommato molto integrati, a livello di relazioni umane, economiche e sociali, in continuo scherno culturale e talvolta anche politico, ma entrambi capaci di elaborare un’interessante intonazione e fisionomia nell’essere e nel voler essere Occidente.