Il Niger è il cuore strategico dell’Africa francese subsahariana. Si tratta di quel plesso d’insediamenti di popolazione che stanno costruendo – nell’agone della post-colonizzazione – uno Stato multietnico. Il Niger gode di una posizione geografica che è alla base della ragione per cui i francesi dal 1890 ne controllano le popolazioni che via via si sono agglutinate avendo ai confini altri insediamenti a debole state building e che collegano Africa del nord e Africa centrale, quell’Africa centrale dove la colonizzazione francese si arrestò dinanzi alla statualità coloniale patrimonialistica belga che controllava il Congo, ossia il cuore dell’Africa e per certi versi del mondo del futuro.
Il Niger infatti è circondato dall’Algeria, dal Benin, dal Burkina Faso, dal Chad, dalla Libia, dal Mali e dalla Nigeria che giunge all’Oceano. È a partire da questa corona di statualità ancora incerte tra potere militare e gruppi parentali che costituiscono i popoli subsahariani che i francesi diedero il via a quei processi di decolonizzazione del loro impero africano che culminarono con la rivoluzione algerina e con la pacificazione gaullista. Essa poté attuarsi grazie alle decisioni assunte dalla Francia ai tempi di Bretton Woods e che purtroppo non sono mai ricordate dagli analisti e che i politici in maggioranza ignorano. Eppure sono decisive e solo così si può comprendere anche il rilievo strategico dell’appena insediatasi presenza italiana in Niger.
A Bretton Woods i francesi rinunciarono al tallone monetario dell’oro per il dollaro, ma ottennero la conservazione del Franco francese africano che ancor oggi è la moneta degli stati a debole istituzionalizzazione franco africani, a cui il Niger appartiene, ossia la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. Uno stato, il Niger, che l’Onu, ha identificato nel 2016 come lo Stato più “emergente”. E ciò grazie alle sue risorse minerarie di eccezionale rilevanza: oro, ferro, carbone e soprattutto – strategicamente decisivi – uranio e petrolio.
Il Canada ha un tradizionale legame con il Niger unitamente alla Francia per il lavoro delle multinazionali alla ricerca dell’oro, ma il legame strategicamente decisivo è quello con la Francia, che grazie ad Areva coltiva l’uranio, tanto importante per il complesso nucleare su cui la Francia fonda la sua potenza. Anche in Niger le élite locali hanno instaurato un rapporto competitivo con la Cina proprio concedendo all’impero di mezzo concessioni per coltivare l’uranio. Si tratta, infatti, di un fenomeno tipico della nuova gara per la decolonizzazione ch’io chiamo da globalizzazione e che ha nella Cina l’attore che in Africa sfida gli antichi colonizzatori con strumenti profondamente innovativi rispetto alle colonizzazioni passate: ricorso al lavoro forzato cinese e scarso interesse per i conflitti politici e inter-popolari locali, purché non minaccino interessi cinesi, com’è apparso evidente con la defenestrazione di Mugabe e la vittoria dell’antica ala pro-cinese del partito unico Zapu in Zimbabwe, dove si è appunto ora insediato Emmerson Mnangagwa, deciso ad allacciare con la Cina rapporti più intensi e che apriranno un nuovo capitolo nella storia della decolonizzazione globalizzata.
In Niger è oggi in corso una stabilizzazione politica che si invera dopo anni di colpi di stato e di tentativi di multipartitismo. Che si susseguono dalle prime elezioni del 1993 e che non riescono ancora a caratterizzare come procedura politico-negoziale i cicli di avvicendamento al potere delle élite post-coloniali. I francesi hanno sviluppato sempre una politica molto intelligente assecondando un connotato antropologico tipicamente del Niger, ossia la pratica del cousinage a plaisanterie, ossia una sorta di alleanze interparentali interetniche che hanno impedito che il Niger piombasse in quelle inaudite violenze agnatico-parentali che caratterizzano gli insediamenti stabili subsahariani. E questo nonostante l’esplosione demografica non si arresti passando dai sei milioni di abitanti nel 1960 ai 20 milioni del 2016, con una fertilità femminile tra le più alte al mondo, con 7,6 figli per donna. L’Isis ha minacciato anche la capacità locale di mediare i conflitti e minaccia la pace religiosa che è sempre stata una caratteristica di questo stato con il 95% di sunniti tra i musulmani e deboli presenze cristiane e animiste.
Oggi in Niger sono insediate accanto ai francesi truppe tedesche nel contesto di quelle prove generali dell’esercito europeo che hanno come asse l’accordo interstatuale franco-tedesco. L’Italia invece va in Niger per combattere l’Isis e i trafficanti di uomini che hanno in Niger un passaggio di elezione per la posizione geografica di cui abbiamo detto. È una prova generale dell’intersezione dell’Africa nei destini europei in forme dirette e non solo economiche? Questa è la questione dirimente che con un eufemismo minnitiano è chiamato “lo spostamento delle frontiere europee in Africa”. Non si tratta solo di un compito umanitario, è evidente. Ed è evidente che il tutto si svolge sotto l’egemonia (non il dominio ma l’egemonia) francese che ha nell’area un potere immenso rispetto a quello degli altri attori. Nulla di riprovevole, anzi: meglio la Francia con alleati come gli italiani e i tedeschi piuttosto che il dominio cinese proteso alla conquista del mondo.
Ora che gli Usa faticano a ritrovare la politica di egemonia dopo le follie unipolariste dei Clinton dei Bush e degli Obama, ben venga la guida francese. È rassicurante anche dei tedeschi che non posseggono forza militare considerevole per esercitare un ruolo di leadership. Ma se tutto questo accade, di questo si discuta, perbacco, e non di favolette umanitarie per bambini.