La storia di James Hamilton, morto a 36 anni di tumore dopo una malattia mentale grave durata 22 anni, non dovrebbe stupire chi conosce un po’ gli effetti della cannabis, ormai sdoganata da nazioni e governi come innocua e venduta legalmente nei negozi (con grande incasso fiscale da parte dei governi stessi). La cannabis è una droga subdola, che crea effetti diversi a seconda della persona, non esiste una casistica unica: a qualcuno può non fare nulla, ad altri provocare problemi di ritardo nell’apprendimento o di invecchiamento cerebrale precoce, ad altri ancora infine può provocare casi di schizofrenia inguaribile. La casistica non è avara in questo senso, e senza addentrarsi negli ospedali, basterà ai fan della musica rock, tra i maggiori consumatori di cannabis, ricordare la storia del fondatore dei Pink Floyd, Sid Barrett, diventato schizofrenico per l’uso smodato della marijuana (e anche droghe psichedeliche). In realtà la marijuana porta in superficie problemi già preesistenti dal punto di vista mentale che però vengono scatenati alle massime dimensioni.
In sostanza fumare cannabis è una sorta di roulette russa, dove uno spinello non si sa che cosa può provocare. James Hamilton aveva 14 anni quando cominciò a fumare cannabis; fino ad allora, ricordano i genitori, era uno studente modello dalla vita piena di impegni e felice. Ben presto diventò un fumatore assiduo e smise di studiare, verso i 20 anni era diventato sempre più paranoico, instabile fino a quando cominciò a sentire le classiche voci, il sintomo della schizofrenia. Per i successivi 16 anni entrò e uscì dagli ospedali, poi nel 2014 si ammalò di tumore ai testicoli, ma rifiutò di farsi curare, dicendo ai dottori di giurare che non lo avrebbero detto alla famiglia. Nel luglio 2015 James era morto. Adesso la madre, Janie Hamilton, gira per le scuole della sua regione per spiegare ai ragazzi i danni che la cannabis può provocare.