La dichiarazione di Donald Trump di voler spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme (Ovest) ha scatenato la stampa, che ha accusato il presidente americano della solita mentalità guerrafondaia e di non tenere conto dei rischi che scatena con le sue prese di posizione. Non solo i media: anche molti esperti di controterrorismo americani hanno detto che il presidente “sta giocando con il fuoco”. La Palestina ha ovviamente lanciato accuse pesanti a Washington, ma non solo, anche un paese normalmente pacifico come la Giordania ha messo in guardia Trump, per non parlare di Erdogan. Pochi però ignorano quanto deciso dal Congresso americano nel 1995 dietro votazione voluta dall’allora presidente Bill Clinton: l’approvazione del cosiddetto Jerusalem Embassy Act con cui di fatto gli Stati Uniti riconoscevano Gerusalemme come capitale ufficiale di Israele e annunciavano la possibilità di spostare l’ambasciata americana nella Città Santa. L’atto aveva una sola condizione: avrebbe dovuto essere sottoposto ogni sei mesi alla firma del presidente per essere reso esecutivo, cosa che fino a oggi (e anche lo stesso Trump alcuni mesi fa) nessuno di loro ha fatto, lasciando la decisione in sospeso. Ilsussidiario.net ne ha parlato con l’ex generale dell’esercito israeliano Michael Herzog, esperto di geopolitica.



Herzog, oggi tutto il mondo sta accusando Trump di alzare pericolosamente la temperatura in Medio oriente, ma il primo a proporre di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme fu nel 1995 Bill Clinton. Come mai quella decisione?

In quel momento si era in un importante momento di dialogo per la pace, l’Autorità palestinese era stata costituita ufficialmente solo un anno prima. Con quella richiesta al congresso Clinton voleva incoraggiare la posizione israeliana, mettendo un punto fermo nel prosieguo del processo di pace. In sostanza riconosceva l’anomalia esistente storicamente.



Il fatto che Gerusalemme non fosse la capitale di Israele?

Esatto, una anomalia che si fonda su una risoluzione delle Nazioni Unite del 1947, quando Israele non esisteva ancora e che diceva che Gerusalemme doveva essere città aperta, città internazionale non appartenente a nessuno. Né Israele né i palestinesi hanno mai riconosciuto valida questa risoluzione. Di fatto a Gerusalemme Ovest è dove si trovano gli edifici governativi e dove si reca ogni presidente americano in visita. 

Perché la decisione di spostare l’ambasciata dal 1995 a oggi è sempre stata posposta da ogni presidente?



Perché i presidenti Usa hanno sempre sostenuto che il destino di Gerusalemme si dovesse risolvere in un dialogo fra le parti e non con una decisione unilaterale americana.

Domani Trump farà la dichiarazione annunciata. Lunedì scorso ha parlato al telefono con il presidente dell’autorità palestinese: lei ritiene che abbia già deciso cosa farà?

Non ne sono sicuro, al momento penso che sul tavolo ci siano due argomenti uno legato all’altro.

Quali?

Il primo è la decisione di spostare l’ambasciata. Ritengo che Trump non lo farà adesso. L’amministrazione americana sta studiando iniziative per il processo di pace e un’iniziativa del genere sarà presa solo all’interno di un processo del genere, ma prima o poi si farà. Il secondo è che io credo che Trump dichiarerà Gerusalemme capitale di Israele ma senza spostare l’ambasciata e senza definire i confini ufficiali della città. Anche Clinton voleva fare la stessa cosa.

Che significato ha questa seconda ipotesi? Propaganda?

Ha il significato di un segnale politico. Sottolinea un punto preciso e segna la direzione in cui l’America si vuole muovere.

Il presidente turco Erdogan è stato quello che più ha reagito in modo virulento contro l’annuncio. E’ la conferma che si considera ormai il leader del mondo islamico in Medio oriente?

Assolutamente. Erdogan è un islamista che sostiene i Fratelli musulmani, vuole diventare il leader del mondo islamico, la versione moderna del sultanato ottomano. 

Da un punto di vista generale, come giudica la politica estera di Trump, fatta di dichiarazioni forti e minacciose, ad esempio l’abolizione dell’accordo nucleare con l’Iran?

Trump ha ragione a dire che quell’accordo non è sicuro e ha molti buchi vantaggiosi per l’Iran. Il problema è capire che politica adotterà oltre le dichiarazioni. Trump non deve prendere iniziative unilaterali contro l’Iran, ha bisogno dell’appoggio europeo. Certamente l’Iran è una grossa preoccupazione per Israele e gli equilibri del Medio oriente. Dopo la sconfitta dell’Isis l’America non ha ancora elaborato alcuna politica e in questi buchi si sta infilando l’Iran. Ha intenzione di costruire un corridoio fino al Mediterraneo, ha basi militari in Siria e sta dominando la politica irachena. Quello che tutti ci chiediamo è: cosa farà l’America?

(Paolo Vites)