La recente visita del presidente tunisino Essebsi in Italia ha riacceso l’attenzione sul paese nordafricano che ha dato il via, nel dicembre del 2010, alle primavere arabe. A dire il vero della Tunisia si è sempre parlato poco. D’altra parte le crisi dei suoi vicini regionali, Libia in primis, hanno fagocitato l’attenzione dei media e delle cancellerie internazionali.
Eppure, oggi più che mai, il paese dei Gelsomini merita attenzione. Quello che forse troppo semplicisticamente è stato liquidato come “l’eccezione felice delle rivolte arabe” è in realtà un paese in bilico tra speranze di rinascita e rischi di deriva. Se da un lato il popolo e la classe politica hanno dimostrato una grande maturità nell’accettazione delle procedure democratiche, tanto da far parlare di vero e proprio “miracolo tunisino”, dall’altro la sua stabilità è costantemente minacciata.
Non serve molto per capirlo. Basta osservare una cartina geografica per notare che la Tunisia, un paese piccolo, con poco più di 10 milioni di abitanti su una superficie di 160mila chilometri quadrati, è letteralmente schiacciata tra i due giganti del Nord Africa: l’Algeria e la Libia. E non è una posizione semplice. Il fianco algerino appare oggi tutto sommato stabile, ma la debolezza dello storico leader Bouteflika, molto malato e probabilmente prossimo alla successione, potrebbe aprire la strada a una possibile destablizzazione interna, capace di propagarsi anche nelle zone di confine. Qui, secondo il ministero della difesa algerino, da inizio 2016 sono stati uccisi quasi un centinaio di miliziani affiliati al gruppo di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). Sempre sul confine algerino, nei pressi del Jebel Chaambi, nel governatorato di Kasserine, è stato individuato il santuario di Ansar al-Sharia e altre organizzazioni jihadiste che utilizzano quest’area come corridoio per il traffico di armi e il passaggio di miliziani dalla Libia all’Algeria, fino al nord del Mali.
Non va certo meglio dal lato libico. Il failed State, con i suoi porosi confini, letteralmente fuori controllo, è una bomba ad orologeria per la Tunisia. I network tra gruppi terroristici dei due paesi sono noti. Da anni i combattenti tunisini ricevono addestramento in Libia. Nei campi di Derna e Sirte si sarebbero formati alcuni degli attentatori del Bardo e di Sousse. Lo stesso Ben Hassine, leader tunisino di Ansar al-Sharia, sarebbe stato ucciso in Libia. A completare questo quadro a tinte fosche, poi, va ricordato che la Tunisia è il paese che ha fornito il maggior numero di combattenti allo stato islamico in Libia e nel Levante. Secondo il ministro della difesa tunisino Farhat Horchani, ora che l’organizzazione sta perdendo terreno, sarebbero circa un migliaio i combattenti in fuga che potrebbero rientrare nel paese.
Ad alimentare il problema c’è poi la persistente stagnazione economica, una piaga che riguarda soprattutto le zone interne. Se ci allontaniamo da Tunisi e dalle città costiere la geografia del paese cambia totalmente. Qui la condizione di marginalizzazione sociale degli “invisibili delle periferie”, per la stragrande maggioranza con un’età inferiore ai trent’anni, immersi nell’economia informale con salari ridotti all’osso o inoccupati, è manna dal cielo per le organizzazioni jihadiste. A Kasserine il tasso di disoccupazione supera il 27%, contro il 17% circa della media nazionale. Il livello di accessibilità della popolazione a internet è del 3%; nella capitale è del 15%. Il tasso di analfabetismo supera i 30 punti percentuali, il 20% in più rispetto a Tunisi. Situazione non molto diversa è quella di altri governatorati come Gafsa, Sfax, Sidi Bouzid, solo per fare alcuni nomi. D’altra parte l’80% delle imprese che operano nel paese si trova sulla costa. Raggiungere le zone interne è molto difficile. Pochi sono disposti ad investire qui a causa della penuria dei servizi indispensabili quali elettricità, strade asfaltate, infrastrutture, etc. L’attuale governo di coalizione tra Nidaa Tunes ed Ennahda, nonostante gli innegabili sforzi, non è fin qui stato capace di elaborare una strategia in grado di guidare il paese verso uno sviluppo inclusivo, garantendo migliori condizioni in termini di giustizia sociale e opportunità per i giovani.
Appare dunque evidente come, per realizzare davvero il “miracolo tunisino”, sia necessario un aiuto concreto, soprattutto in campo economico. Durante la sua visita a Roma, Essebsi ha voluto incontrare gli imprenditori italiani per illustrare i piani di sviluppo economico previsti per i prossimi 4 anni in settori importanti anche per le nostre imprese: costruzioni, infrastrutture e trasporti, telecomunicazioni, agro-industria etc. Contribuire allo sviluppo di questi progetti non significherebbe soltanto cogliere delle opportunità di investimento per le aziende italiane, ma anche aiutare concretamente la Tunisia, provando a dare un senso a quella che cinque anni fa è stata chiamata dai ragazzi di Tunisi la “Rivoluzione della Dignità”.