L’assalto agli sbarramenti protettivi di Ceuta da parte di circa 900 migranti provenienti dall’Africa sub sahariana, di cui circa la metà è riuscita ad entrare, ha richiamato l’attenzione della stampa internazionale sulle due enclave spagnole in Marocco. Ceuta e Melilla sono due cittadine di circa 80mila abitanti, situate sulla costa marocchina del Mar Mediterraneo, da secoli spagnole ma rivendicate dal Marocco. Per contrastare il contrabbando e l’immigrazione illegale, negli anni 90 sono stati costruiti attorno alle due città alti muri di recinzione coronati da filo spinato, ulteriormente rafforzati nel 2005. Melilla è circondata da tre cinture, per 12 chilometri, Ceuta da una alta sei metri e lunga 8 chilometri: si può quindi comprendere l’entusiasmo mostrato da chi è riuscito nell’impresa di superarle qualche giorno fa. Un simile tentativo era avvenuto all’inizio di quest’anno, ma dei circa 1.100 “assalitori” solo due erano riusciti a passare, il che fa pensare che questa volta il tentativo sia stato ben organizzato ed eseguito.



La politica repressiva del governo spagnolo, con l’immediato ritorno forzato dei clandestini in territorio marocchino, e i maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine del Marocco sono stati spesso denunciati dalle organizzazione di difesa dei diritti civili. Molti migranti sono rimasti feriti nel tentativo di superare gli sbarramenti e molte sono state le vittime degli scontri con i poliziotti marocchini e spagnoli, tra i quali si sono pure contati diversi feriti. Gli incidenti più gravi sono avvenuti a Ceuta nel 2005, con una quindicina di africani uccisi dalle forse dell’ordine dei due Paesi, e nel 2014. Nel febbraio di quell’anno, la polizia spagnola usò gas lacrimogeni e pallottole di gomma contro dei migranti che cercavano di raggiungere la città a nuoto e il risultato fu di 15 morti. Il governo spagnolo è stato criticato anche in sede Onu e Ue, che ha peraltro finanziato buona parte della costruzione dei muri.



Non si può, comunque, fare a meno di rimarcare l’atteggiamento più “morbido” di Bruxelles su Ceuta e Melilla rispetto alla barriera dell’Ungheria sul confine serbo e croato: insomma, non tutti i muri sono uguali. Per esempio, quello al confine con il Messico progettato da Trump è ritenuto più esecrabile di quello già costruito da Bush senior e Clinton, con l’apporto di Bush junior e Obama. Ciò ha portato il filogovernativo quotidiano turco Daily Sabah a titolare un suo articolo “l’Ue colpevole dei suoi muri attacca la politica di Trump sull’immigrazione”. I muri, per lo più barriere con filo spinato, elencati nell’articolo, oltre i già citati spagnoli e ungheresi, sono quelli eretti da Bulgaria, Grecia, Austria, Slovenia e quello progettato dall’Estonia, cui si aggiunge, fuori dell’Ue, quello macedone. Viene anche citato il muro che, a spese del Regno Unito, si è aggiunto al filo spinato che già isolava il porto di Calais in Francia. 



Secondo un’ altra voce extraeuropea, il quotidiano online The Times of Israel che elenca i 10 più importanti muri esistenti nel mondo, le barriere alle frontiere sono salite a 66 nel 2016, dalle 16 del 1989, anno della caduta del muro più famoso, quello di Berlino. Costruito, peraltro, principalmente per non far uscire dal “paradiso” comunista, mentre gli attuali cercano di impedire di entrare nel “paradiso” del Primo mondo. I muri citati nell’articolo rispondono tuttavia anche ad altre esigenze, a partire da quello che gli israeliani hanno costruito dall’inizio degli anni 2000 verso i Territori palestinesi. Lo scopo del muro era di impedire gli attacchi terroristici contro Israele, ma è diventato a sua volta uno strumento del conflitto tra israeliani e palestinesi. Con uno scopo simile, per difendersi dall’Isis, l’Arabia Saudita ha ulteriormente rafforzato la preesistente barriera di sabbia per 900 chilometri lungo il confine con l’Iraq. Altri muri dividono territori contestati, come quello di sabbia che dagli anni 70 divide il Marocco dal Sahara Occidentale controllato dal Polisario, o quello che divide in due Cipro, separando la parte greca da quella occupata nel 1974 dalla Turchia. I muri contro l’immigrazione non sono peraltro un’esclusiva europea e a quello statunitense verso il Messico si aggiunge il reticolo di filo spinato eretto  dall’India per impedire l’immigrazione illegale dal Bangladesh.

Papa Francesco ha più volte invitato a non costruire muri, bensì ponti, ma la questione non sembra così semplice, come ha confermato il Pontefice stesso. Costruire muri sembra facile, ma risolve solo in parte i problemi e con costi pesanti, anche in vite umane; costruire ponti può essere meno costoso, soprattutto in vite umane, ma lascia pressoché intatti i problemi conseguenti, a partire dall’integrazione. Il dialogo e il confronto tra popoli può avvenire solo nella libertà e diventa estremamente difficile se si è costretti, da guerre, persecuzioni o condizioni economiche, a lasciare il proprio Paese per emigrare in un altro, soprattutto se di cultura e religione diversa. Come si è visto dai due articoli citati, il problema non è solo europeo, né solo del Primo mondo. Occorrerebbe affrontare il problema alla radice, come più volte questo Papa e i suoi predecessori hanno indicato, eliminando le cause che costringono ad emigrare. L’impressione, dolorosa, è che questo obiettivo sia tutt’altro che prioritario per coloro che reggono le sorti di questo mondo.