Sarà che già non ero di umore particolarmente buono. Sarà che scrivo mentre guardo. Ho acceso la tv alle sei, puntualissimo, per poter tenere almeno un occhio e un orecchio su quella grande liturgia pagana chiamata notte degli Oscar sin dal suo incipit, la processione del “red carpet”. Processione sponsorizzata da Aquafina, business della Pepsi, tanto per non dimenticare che senza la grande industria, la grande industria di Hollywood non esisterebbe. Ma la domanda che incombe è: sarà una notte di spettacolo e arte o di propaganda politica?
Se la processione con cui il tutto si apre ci dice qualcosa verrebbe da pensare che quello che ci aspetta è una ubriacatura di irrealtà. Tre curiosi personaggi, a me assolutamente ignoti (ma probabilmente io non faccio testo), straparlano dei vestiti altrui. Una donna di colore, vestita in giallo, una bianca vestita in bianco, e un “diversamente uomo” vestito in rosso fuoco. Se questa sera a Hollywood si fosse risparmiato sui vestiti probabilmente non avremmo risolto il problema della fame nel mondo, ma quello della sanità pubblica negli Stati Uniti sì. Sarà anche che sono diventato grande durante gli anni di piombo, ma… possibile che quelli che vorrebbero far saltare per aria Trump e la sua squadra al red carpet più che passare l’aspirapolvere non farebbero?
Le premesse di una notte anti-Presidente c’erano tutte, con La La Land presentato come un bastione della libertà di espressione, Lion come la bocca della verità rispetto al tema immigrazione, The Salesman, film iraniano, che con la semplice nomination – bello o brutto che sia – esprime dissenso. E pure i cartoni c’hanno contaminato, con Zootopia che si autocelebra come storia sovversiva di razza e discriminazione.
Parte lo show. Justin Timberlake balla e fa finta di cantare. Tutti belli e tutti felici. Felici di cosa? Soldi, potere e sesso immagino che direbbe TS Eliot. Jimmy Kimmel, l’host della serata, sembra essere all’altezza. Le stoccate non mancano, ma in Kimmel c’è buon gusto, le battute ci stanno, dall’overrated Meryl Streep all’attesa di un tweet da Trump. Intanto gli Oscars vengono via via assegnati e raccontano la loro storia, con la rivincita degli afro-americani dopo il digiuno dello scorso anno (best supporting actor and actress), con Zootopia e la sua stucchevole ideologia, The Salesman dall’Iran e qualche ringraziamento appassionato come quello di Viola Davis.
Ma a questo punto c’è un siparietto degno di nota. Una decina di turisti vengono catapultati a loro insaputa sulla ribalta del Dolby Theatre, trovandosi faccia a faccia con Nicole Kidman, Emma Stone, Denzel Washington e tutti gli altri… questo sì che è Zootopia, questo è un vero zoo dove gli esterrefatti turisti fanno la parte degli scimpanzé con gli attori che dalle loro poltroncine passano occhiali da sole e altri oggetti personali come lanciassero noccioline… una delle cose più razziste che ho mai visto in vita mia.
Si procede e Kimmel riporta la faccenda sui binari del piacevole intrattenimento accompagnandoci alle premiazioni più attese. Niente scossoni e nessuna grande sorpresa con Damien Chazelle, Casey Afflek, Emma Stone e La La Land. Poche parole di circostanza, una cucchiaiata di retorica e una spruzzata di buoni sentimenti.
No… un momento…. ha vinto Moonlight…. insomma, tutto finisce con un pasticcio… tutti quelli di La La Land sul palco per poi accorgersi che il premio andava a qualcun altro.
And the show goes on, con una certezza: Hollywood, che predichi o no, non salverà il mondo.