Gli olandesi hanno messo un argine, a quanto sembra, all’antieuropeismo che sta aumentando in tutto il continente. Al momento si ragiona ancora sugli exit poll e sulle prime proiezioni, perché temendo operazioni di hackeraggio, si è deciso di contare tutte le schede manualmente e quindi i tempi diventano lunghissimi.
In tutti i casi, si può dire sinora che il premier uscente, il liberale Mark Rutte, leader del partito liberaldemocratico, rivince le elezioni, pur perdendo una decina di seggi in Parlamento. Secondo le prime stime degli exit poll, Rutte avrebbe ora 31 o 32 seggi sui 150 in palio nella camera bassa del Parlamento, fatto che lo costringerà a governare con alleanze tutte da costruire, perché gli alleati laburisti sono letteralmente crollati. Al momento comunque sembra scongiurato lo sfondamento, che in molti temevano, del leader del Pvv, Geert Wilders, cioè uno dei più agguerriti antiislamafofili e dei più duri contestatori della costruzione europea, al pari di Marine Le Pen, Nigel Farage e Matteo Salvini. Il partito di Wilders sembra che si piazzi al secondo posto e che guadagni 4 o 5 seggi rispetto alla precedente pattuglia di 15 deputati che aveva. Ma con 19 seggi non si può certo governare e deve contendere duramente il secondo posto con altri partiti che sono cresciuti, come i Verdi di sinistra, i cristiano-democratici e i liberali di sinistra.
Insomma, Wilders si consolida, avanza leggermente ma non sfonda come si temeva a Berlino e a Bruxelles. Non è un caso che Jean-Claude Juncker si sia subito congratulato con Mark Rutte “per la chiara vittoria”, tralasciando ovviamente il ridimensionamento del partito liberaldemocratico nel Parlamento olandese e la sconfitta dei laburisti.
Dal canto suo Gert Wilders ha commentato: “Abbiamo guadagnato voti. Il primo obiettivo è raggiunto. E Rutte non mi ha fatto fuori”.
Al momento, in un paese come l’Olanda dunque l’estremismo antieuropeista è ancora in netta minoranza; è una parte dell’elettorato che bisogna “guardare a vista”, che infastidisce ma che sinora non può mettere in discussione l’Unione europea e il rapporto con gli immigrati, il grande, epocale e storico problema dell’immigrazione.
Ma non c’è dubbio che qualche cosa sia successo, anche in questo confronto tra europeisti e antieuropoeisti olandesi. Il fatto, ad esempio, che la sinistra laburista e socialista sia letteralmente scomparsa, abbia avuto un autentico tracollo, lascia pensare che ormai le elezioni, in quasi tutti i Paesi d’Europa, si giochino tra europeisti e antieuropeisti, sbrigativamente chiamati estremisti e populisti. Si potrebbe aggiungere che, in tutti i casi, per contenere questo fenomeno (questo avverrà probabilmente in Francia) bisogna che tutti gli altri partiti si coalizzino o trovino accordi necessari per arginarlo.
Questo è il vero e attuale monito per l’Europa: la divisione dura e radicata che si sta formando. E’ questo che Bruxelles dovrebbe considerare, il fatto che dovrebbe indurre gli eurocrati a pensare a un autentico salto di qualità e a operare forme di collaborazione e di integrazione maggiori, più profonde e convinte, che probabilmente ridarebbero fiducia ai cittadini europei nel sessantesimo anniversario dell’Europa unita.
Purtroppo invece ciò che appare oggi è un confronto tra “quelli che sono a favore” e
“quelli che si oppongono”. Facendo tra l’altro sparire culture differenti come la sinistra di tradizione socialdemocratica, che per anni è stata la motrice dell’unità europea e del sistema democratico europeo.
Al momento il pericolo di un collasso dell’Europa sembra scongiurato, con questo voto olandese. Ma è inutile dire che la strada è lunga e difficile e che l’appuntamento vero si avrà a Parigi a cominciare dal 23 aprile. E’ probabile che anche quell’appuntamento potrà essere superato dall’unità europea, ma se non ci sarà uno scatto autentico sul piano economico e sociale, si aumenterà solo il pericolo e il rischio di un’implosione.