NEW YORK — L’America di Trump è tutta da scoprire. I media europei ci hanno lanciato addosso l’immagine degli ambienti liberal americani, che danno l’idea che sia accaduto qualcosa di disastroso, ma vista da dentro la realtà americana appare diversa.

Il dato principale è che la crisi appare superata a discapito della maggior parte della popolazione e la middle class è lontana dagli standard ottenuti prima della crisi.



Sui canali delle televisioni americane continuano a mandare in onda trasmissioni in cui si ripercorre lo strano modo in cui Trump si è confrontato con gli altri candidati repubblicani e alla fine con la Clinton e Obama. È il segno evidente che una parte del Paese non ha ancora compreso cosa è accaduto.

Le notizie che tengono banco sono propriamente: le accuse che Trump continua a pronunciare contro il suo predecessore, per le registrazioni con cui lo avrebbe spiato; il furto del laptop di Trump, sembra da parte dei servizi; l’intrusione di un estraneo alla Casa Bianca, per la quale due agenti corrono il rischio di essere licenziati; e la proposta di sostituire l’Obamacare con un programma più economico e forse anche più efficiente (il GOP health plan).



Sul piano internazionale Trump si dichiara un non isolazionista e ha tenuto banco la visita del segretario di Stato in Cina. Per contro, il governo inglese appare furioso per essere stato spiato in questo periodo da alcune agenzie americane.

La visita del cancelliere Merkel ha avuto una ribalta inferiore a quella dedicata nei giorni scorsi all’elezioni in Olanda e già superata dall’eruzione dell’Etna. Il New York Times di sabato vi dedicava un articoletto in 24ma pagina. Anche il filmato della conferenza stampa mostra una Merkel a disagio davanti al leggio che aggiusta le sue carte, mentre Trump dirige il traffico delle domande con i giornalisti e discute dei problemi delle comunicazioni con i media e con il governo inglese; una questione totalmente estranea alla visita della “grande” personalità politica europea, che Trump sembra abbia trattato con una certa sufficienza. La difesa Nato bisogna pagarsela, il negoziato commerciale con l’Ue non si fa e i prodotti tedeschi si sono troppo avvantaggiati nel mercato americano, ma cambierà; ed ancora, una follia l’accoglienza dei rifugiati e l’esistenza stessa dell’Unione europea.



Ce n’è abbastanza perché la Germania, e l’Europa tutta, riflettano sul loro futuro in maniera diversa rispetto al passato. Ma questo non è tutto.

Non è vero che il personaggio Trump non abbia un certo apprezzamento nella società americana. La sua idea “first the America” viene salutata come una svolta epocale paragonata a quella che impresse alla politica americana il presidente Truman, dopo il periodo rooseveltiano. Intanto prende corpo anche la filosofia dell’amministrazione Trump, per condurre la popolazione  americana fuori dalla crisi e per creare nel mercato americano del buon lavoro. Di qui la scelta di un piano infrastrutturale di 3 trilioni di dollari (3 miliardi di miliardi) in investimenti per opere pubbliche che Stati membri, province e municipalità si apprestano a spendere: si chiama federalismo infrastrutturale e servirebbe a mettere in ordine il sistema del federalismo fiscale, alquanto sfiancato dalla crisi, senza aumenti delle tasse, ma semmai tentando di abbassarle. Il progetto sarebbe di fatto appoggiato anche dalla Fed che, rialzando i tassi, rende appetibile per i capitali il mercato americano. A chi fa osservare che in questo modo il debito americano sale alle stelle, si risponde che il debito non conta, conta invece la supremazia americana e per avere questa bisogna guardare ad altri indicatori. L’America di Trump deve scegliere tra efficienza e decadenza e vuole la prima; deve decidere sul risparmio adesso e su ciò che farà risparmiare (meglio) in futuro e decide per questa seconda ipotesi. L’idea è apprezzata in diversi cenacoli di economisti e le università americane si sono già messe all’opera facendo calcoli e predisponendo modelli matematici, ma nessuno ritiene che l’idea in sé sia sbagliata.

A quanto sembra ancora una volta abbiamo da imparare dagli americani e, questa volta, anche alla svelta. Due le vicende su cui una certa emulazione ci potrebbe essere utile. La prima è quella di rendere più forte l’Unione europea, più forte degli stessi Stati che la compongono. Solo così si potrà mantenere una certa competitività, da soli non vi è alcuna speranza. È per questo che i nazionalisti dei paesi europei sono ridicoli nella loro imitazione del trumpismo: “prima l’Italia”, o la Francia, o la Germania sono parole d’ordine che non tengono conto della misura che differenzia gli Stati Uniti dai singoli Stati europei. 

Solo la formazione di uno Stato europeo, con un buon federalismo, renderebbe possibile progetti pubblici, se non di alcuni trilioni come prospetta Trump, almeno di diversi centinaia di miliardi di euro come ha fatto Obama con l’American Recovery and Reinvestment Act (Arra). 

Ed è questa la seconda vicenda che si prospetta. Spendere tanti soldi in Europa per farla ancora più bella e appetibile. Pensate ad una Italia senza dissesto idrogeologico, senza problemi dei rifiuti, con una rete dell’alta velocità completa, con porti e aeroporti adeguati, coni monumenti ripuliti, i musei in ordine, le scuole restaurate, ecc.; sarebbe quasi un bel sogno.

Speriamo che l’idea venga alla Merkel dopo l’incontro con Trump, perché se aspettiamo che venga ai nostri politici, allora non solo i nostri figli, ma anche i nostri nipoti dovranno emigrare.