Sei anni fa la Comunità internazionale, fortemente influenzata dagli Stati Uniti, ha scatenato una guerra senza quartiere contro milioni di siriani, addestrando e finanziando gli elementi più radicali dell’estremismo islamico per rovesciare Bashar al Assad (l’insurrezione era organizzata ed armata sin dal primo giorno ed è iniziata con le armi preventivamente conservate nella moschea al Omari di Daara). Da allora i siriani sono stati uccisi, fatti oggetto di attentati, mutilati, privati della casa, dell’istruzione, lasciati morire perché privi di cure mediche e del lavoro. Come se ciò non bastasse, contro la Siria è stato imposto un durissimo embargo che colpisce soprattutto le fasce più deboli della società. 



Inutile dire che agendo così, l’occidente ha mandato a farsi benedire in un sol colpo tutte le Costituzioni nazionali e le leggi internazionali che tutelano la sovranità degli stati. 

Lo spaccato della situazione è stato descritto efficacemente della deputata democratica Tulsi Gabbard che insieme ad una delegazione del partito democratico si è recata ad Aleppo nel mese di gennaio di quest’anno. Al termine del suo viaggio ha presentato una proposta di legge al Congresso degli Stati Uniti per vietare che i fondi governativi fossero “indirizzati a gruppi di opposizione e individui siriani”; ha chiesto inoltre che la Cia cessasse il flusso di armi e denaro  attraverso l’Arabia Saudita, la Turchia e il Qatar per dare supporto diretto e indiretto a gruppi come Isis e Al Qaeda.



Le dichiarazioni della Gabbard coincidono con quanto il nuovo presidente americano ha sempre sostenuto in campagna elettorale. Quindi non c’è da meravigliarsi che da parte americana le critiche alla Russia sono cessate, il sostegno ai ribelli è stato interrotto e che gli attacchi aerei statunitensi in provincia di Idlib e contro Isis siano aumentati.

In definitiva per ora ciò che si sta attuando è una maggiore aggressività verso il gruppo Tahrir al-Sham (a cui appartiene Fateh al Sham, ex al Nusra) ed Isis secondo il piano predisposto dal nuovo segretario alla Difesa, generale James N. Mattis.



Ma ci sono segnali che ciò che sta accadendo sia inserito in un progetto più ampio reso pubblico mercoledì sul Wall Street Journal. L’articolo intitolato “A New Strategy Against Isis and al Qaeda” è a firma di  due preminenti figure dei neocon, Frederick Kagan e Kimberly Kagan e riprende nient’altro che un omonimo documento redatto dal think tank statunitense Institute for the study of war

Il progetto prevede  che gli Stati Uniti stabiliscano una loro base operativa nel sud est della Siria; che venga costruita una alleanza con un nuovo partner arabo sunnita siriano; che questo nuovo partner combatta Isis ed al Qaeda con il supporto statunitense; che infine si predisponga un’area di sicurezza sottratta al controllo dello stato centrale per  rompere il “ponte” iraniano con Hezbollah in Libano. In sostanza, l’idea è quella di delegittimare il governo siriano e formare un esercito supportato da Washington e finanziato dall’Arabia Saudita che si occupi di liberare le province di Raqqa, Hasaka, Deir Ezzor e Menbij che costituiscono le città principali della regione di Jazeera e dell’Eufrate: il suddetto territorio non dovrebbe essere liberato solo dello Stato islamico ma anche dalle forze siriane democratiche (curdi) e dal controllo dello stesso stato siriano. E’ evidente che la realizzazione di simile piano  incontrerebbe anche il favore dei turchi.

In tal senso, la settimana scorsa è stata sponsorizzata nella città turca di Urfa, un incontro tra le tribù sunnite del nord della Siria. Se il progetto discusso in tale sede troverà consenso tra i capi delle tribù sunnite convenute, si darà vita ad un’operazione che dovrebbe prendere il nome di “Rabbia dell’Eufrate”. E’ ovvio che le forze di questa nuova entità sarebbero adeguatamente rifornite e rimpinguate anche da elementi esterni che dovrebbero accedere dalla Siria meridionale (circostanza però a cui i però russi stanno facendo fronte). 

Visto che in passato hanno più volte offerto il loro apporto, è plausibile che a tale piano contribuiscano i sauditi. In tal senso sono da leggere gli incontri tenuti a Washington la settimana scorsa: Trump ha ricevuto alla Casa Bianca Mohammed Bin Salman, il vice principe ereditario e ministro della Difesa saudita mentre il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha incontrato il ministro degli esteri saudita insieme al suo omologo degli Emirati Arabi Uniti.

Naturalmente la Russia è pienamente a conoscenza che gli Usa stanno avviando i piani operativi per creare la famosa zona di sicurezza accennata a gennaio dal presidente degli Stati Uniti. Per questo, le operazioni militari per raggiungere Deir Ezzor da sud stanno accelerando. Nello stesso tempo venerdì 17 le forze aeree israeliane hanno attaccato un magazzino di Hezbollah vicino Palmira. Il raid aereo ha avuto il chiaro intento di indebolire l’avanzata dell’esercito governativo verso Deir Ezzor. Tuttavia, questa volta le difese aeree siriane non sono rimaste passive: per la prima volta le batterie antiaeree hanno reagito e Israele ha dovuto ricorrere al sistema di difesa aerea Arrow per neutralizzare i missili S-200 lanciati da Damasco.

Il piano statunitense riuscirà? In verità oltre all’ostacolo russo, l’agenda statunitense trova un altro “intoppo” non da poco: Nawaf al-Bashir  il più forte leader tribale locale della zona di Deir Ezzor (regione che conta circa 1,2 milioni di persone), ha capito che gli Stati Uniti e le potenze regionali arabe stanno giocando impunemente con il popolo siriano. Per questo, da tempo si è schierato con Damasco. Naturalmente, ci sono molte difficoltà perché sappiamo che nella zona che egli controlla, Deir Ezzor, stanno confluendo i resti dell’esercito di Isis in fuga da Raqqa ma comunque la contrarietà di Nawaf al-Bashir scompagina non poco i piani proposti.

Per concludere, le variabili in campo sono molte; ma la cosa certa è che con questi propositi la guerra di Siria non finirà presto.