La campagna elettorale in Francia è entrata nel vivo con il primo confronto televisivo a cinque. Ed è proprio il numero dei partecipanti della “corsa all’Eliseo” che dà in fondo la misura del grande cambiamento politico che sta avvenendo in Europa e, con aspetti diversi, in quasi tutto il mondo occidentale. Le tradizionali sfide tra destra e sinistra sembrano finite. Anche in Francia il confronto tra la “grande destra” di matrice gollista da una parte, quella in cui si è riconosciuta la Resistenza francese con l’ultima guerra mondiale e dopo il dramma dell’Algeria con il ritorno del generale Charles De Gaulle, e dall’altra con un partito socialista che ha spodestato i comunisti, con François Mitterrand che aveva superato la dimensione della federazione dei club, sembra un’epoca passata e dimenticata, quasi sepolta dalla nuova società globalizzata, completamente cambiata e alla ricerca di nuovi protagonisti politici.
La Francia offre uno spaccato incredibile di questa realtà in movimento. Il gollista in corsa per l’Eliseo, François Fillon, si dibatte con problemi giudiziari (ma non è il solo) e la sua eredità politica sembra legata più alla delusione di Nicolas Sarkozy piuttosto che a quella dell’indimenticabile generale. I socialisti, ufficialmente, con un Presidente della Repubblica in carica, sono ricorsi alla figura di una comparsa non molto accreditata, Benoit Hamon. Si presenta anche un esponente della sinistra radicale, Jean-Luc Mélenchon, che sembra destinato a una testimonianza. Ma i veri protagonisti di questa campagna elettorale, decisiva non solo per la Francia, sono Emmanuel Macron e Marine Le Pen, la figlia del vecchio Jean Marie, diventata la leader del Front Nationale, la formazione anti-europea più accreditata e più forte del continente e contraria, come ha ripetuto nel primo confronto televisivo , a “ogni forma di immigrazione”. Contro Marine Le Pen, c’è l’ex ministro all’Economia di un governo socialista, che però ha creato un suo movimento “En marche”, per distinguersi dalla politica di François Hollande e di Manuel Valls.
Pochi potevano realisticamente immaginare che, dopo l’incontro sui luoghi di guerra tra Mitterrand e Helmut Kohl, dopo la creazione dell’Unità europea che poggia sull’asse franco-tedesco, si assistesse a uno scontro tra Front National e il movimento “En marche” di Macron. C’era stato il precedente tra Jacques Chirac e Jean Marie Le Pen, ma era uno scontro senza storia e soprattutto senza chances per il vecchio xenofobo di ispirazione petainista, cioè il collaborazionismo fascista francese.
Questa volta la partita è diversa. Marine Le Pen, anche nel suo anti-europeismo e anti-immigrazione, ha ridisegnato il Front National, lo ha fatto diventare il partito di maggioranza relativa e, secondo un sondaggio di questi giorni, guida il partito che ha più voti tra i giovani tra i 18 e i 24 anni. Insomma, è un pericolo reale, anche se i sondaggi (di cui ormai ci si fida poco), ma soprattutto il clima politico, indicano che la Le Pen arriverà al ballottaggio, ma poi, per il vecchio spirito repubblicano francese, perderà e in questo modo “si salveranno la Francia e l’Europa”.
Eppure l’ansia e la paura questa volta sono grandi. Le elezioni in Olanda hanno contenuto l’anti-europeismo e l’islamofobia di Geert Wilders, ma il Parlamento olandese dovrà fare i salti mortali per formare un governo. In Francia invece la situazione è diversa. La sera del 7 maggio, dopo il ballottaggio, un vincitore ci sarà e sono in tanti in Europa a temere che Marine Le Pen possa anche farcela. È chiaro che questo non sarebbe solo un colpo per la Francia, ma per l’Unità europea.
Ora, sono proprio queste elezioni, questo appuntamento dai tratti ansiogeni se non drammatici, che danno una sensazione di immobilismo in tutta Europa, ma soprattutto in modo quasi ossessivo, in Italia. L’impressione è che nel Bel Paese si aspetti e si litighi su tutto, in una rissa continua di tutti contro tutti. C’è la manovra da correggere, ci sono i contrasti che perdurano nel Partito democratico per un congresso abbastanza improvvisato. E continuano i contrasti a sinistra. Ci sono le nomine dei grandi enti statali che creano polemiche, c’è una perdurante stagnazione economica e, nonostante “l’immobilismo romano”, il Movimento di Beppe Grillo, secondo i sondaggi, guadagna ancora voti.
È vero che il 2016 è stato segnato da tre passaggi micidiali: Brexit, l’elezione di Donald Trump, il referendum costituzionale bocciato clamorosamente in Italia. Ma il 2017 potrebbe riservare sorprese peggiori, partendo da Parigi, per arrivare a Bruxelles e per inquadrare la situazione italiana. L’attesa delle grandi prove crea nervosismo e il nervosismo non crea una buona politica. In questo momento l’Italia più che far politica sembra smarrita di fronte a quello che può capitare in Europa con le elezioni francesi. Questo è un pessimo esempio di provincialismo per una classe dirigente, che guarda sempre ai risultati degli altri per decidere che cosa fare.
La politica ormai in Italia sembra ridotta a litigio isterico. Si potrebbe aggiungere, in modo irriverente: “Aspettando Godot”. In sintesi, un classico del teatro dell’assurdo.