L’ultimo attentato avvenuto ieri pomeriggio a Londra lascia senza fiato e getta l’Europa intera, tutto l’Occidente, nel dramma e nell’ansia della più cupa incertezza. I servizi inglesi e Scotland Yard, probabilmente ancora il meglio del controspionaggio e della polizia nel mondo, sono stati tempestivi nel giudizio sull’attentato e poi, come al solito, molto parchi sui particolari dell’indagine: è stata un’azione di terrorismo, hanno detto subito. Poi si sono chiusi nel silenzio, lasciando ai media, ai nuovi media, alla mitica rete e ai vari commentatori, accreditati o improvvisati, di ricostruire i particolari della vicenda e di riassumerne il significato. 



Secondo gli esperti di sicurezza, il metodo usato dagli inglesi è quello di chi ha una pista precisa da seguire e lo sta facendo con la discrezione indispensabile.

L’attacco terroristico è avvenuto a Westminster, nel cuore della capitale britannica, nel luogo che rappresenta storicamente il centro, il luogo di nascita della democrazia parlamentare e rappresentativa. Un simbolo? E’ un’ipotesi tutta da verificare.



Si consideri ancora che tutto sta avvenendo in un clima di allarme terroristico mondiale, che si ripete dopo attentati avvenuti in Francia, con cadenza continuata e ossessiva, e che si incrocia con una serie di anniversari: i 60 anni dell’Europa; gli attentati avvenuti a Bruxelles un anno fa; le prossime manifestazioni, che mettono in discussione le scelte politiche che si svolgono in Europa e nell’Occidente in genere. Tanto per intenderci saranno ben sette le manifestazioni che si svolgeranno a Roma sabato prossimo, mentre gli “eredi” dei fondatori dell’Unità europea cercheranno di trovare un minimo di convergenza operativa e di valori condivisi.



Non c’è dubbio che la radice ideologico-politica-religiosa che spinge a questi attentati riconduce all’Isis, allo stato islamico e ai suoi “profeti” assassini. Ma trovare in questi attentati una strategia e una razionalità di guerra, anche quella asimmetrica del terrorismo, è difficile e complicato.

Restiamo alle scarne notizie sull’orrendo attentato londinese. Si parla di un uomo, forse con  un complice, che lancia la sua macchina, un grosso Suv, sul ponte di Westminster sulla folla, investendo le persone. Poi scende dalla vettura, armato di un coltello, ammazza un poliziotto e viene inevitabilmente abbattuto da altri poliziotti, come se fosse alla ricerca del consueto “sacrificio” per guadagnarsi il paradiso e onorare il “verbo” del califfo. A ben vedere una sorta di attentato suicida, nel solito stile di questi ultimi anni.

Si può pensare che la guerra siriana e irachena, con lo stato islamico che è in difficoltà nelle operazioni sul campo, cerchi risposte disperate e quindi inciti i suoi simpatizzanti agli attentati in Occidente. Si può pensare a risposte di vendetta alla possibile, forse imminente caduta di Mosul, e ai problemi che potrebbe avere presto Raqqa, la “capitale” del califfato.

Ma secondo gli esperti di sicurezza occidentali, quelli più esperti, tutti questi ragionamenti, questi simboli sono frutto della razionalizzazione occidentale, della nostra razionalizzazione. Il resto è solo il frutto di una strategia di terrorismo che è arrivata a un secondo livello e vuole solo creare precarietà e incertezza. Ma la base di questo terrorismo è basato soprattutto su uno spontaneismo che lascia stupefatti.

Può darsi che i nuovi terroristi non siano neppure frequentatori di moschee o nuovi adepti  radicalizzati dalla conoscenza di ambienti di fondamentalismo islamico, ma piuttosto giovani immigrati di seconda generazione, che vivono nel malessere e che ritrovano una ragione di vita e di morte nel sacrificio supremo dell’attentato, che diventa quasi inevitabilmente un suicidio. La storia di Abu Muhammad Al Adnani è emblematica al riguardo.

Si ritrova se stessi, non tanto in una dimensione religiosa, ma in una differenziazione ideologica di appartenenza non occidentale.

Tutto questo assume un aspetto di incertezza che appare insopportabile e che sta abituando l’Europa, l’intero Occidente, a vivere in una sorta di “grande Israele”, dove si è costretti a convivere con l’imprevisto del terrorismo in qualsiasi momento, in qualsiasi circostanza, in qualsiasi posto.

Ovviamente l’Isis esulta per quello che sta riuscendo a raccogliere tra gli emigrati in Occidente di seconda e terza generazione, anche se in questa forma improvvisata. Forse il califfo pensa che sarà questa strategia a permettere alle forze inquadrate militarmente nello stato islamico di affrontare alla fine, direttamente, gli “infedeli”. Toccherà alla capacità dell’Occidente, soprattutto sul piano politico oltre che su quello militare, sapere rispondere a questa aggressione programmata anche sull’improvvisazione.