Non sarebbe Trevor Brooks, noto come Abu Izzadeen, l’autore dell’attacco terroristico di Londra. L’avvocato di Brooks ha smentito la sua identificazione con l’autore del gesto: oggi Izzadeen è ancora in carcere. L’uomo, noto ai più come “predicatore d’odio”, incitava l’ingresso in Gran Bretagna della sharia, la legge islamica, teorizzava la schiavitù delle donne e giustificava il terrorismo come parte integrante degli insegnamenti del Profeta.
In passato Abu Izzadeen è stato imprigionato per la propaganda radicale, per avere incitato alla violenza e per le attività di fundraising con il gruppo islamista radicale Al Ghurabaa e al-Muhajiroun.
Trevor-Abu è nato nella parte est di Londra da una famiglia originaria della Giamaica il 18 aprile 1975. E’ cittadino britannico convertito all’islam e noto per le sue prese di posizione estremiste. Secondo la Charity Commission for England and Wales, un dipartimento governativo britannico non ministeriale che si occupa di censire e regolare le associazioni benefiche, i legami tra gli enti e gli ambienti del terrorismo e dell’estremismo sono numericamente lievitati. Un rapporto della Commissione ha parlato di “crescenti timori che gli estremisti si stiano infiltrando nelle associazioni di beneficenza islamiche per promuovere la violenza, finanziare il terrorismo e reclutare giovani per la jihad”. Le segnalazioni da parte della Charity di commistioni tra beneficienza ed estremismo islamico si sono triplicate, da 234 a 630 in tre anni.
Già nel 2015 anche all’Università di Westminster spadroneggiava l’estremismo islamico, ma nessuno denunciava alcunché per paura di essere tacciato di islamofobia. Uno studio commissionato dalla medesima università tratteggiava una situazione allarmante: “molti giovani iscritti di religione islamica si rifiutano addirittura di parlare con le donne. Si tratta di estremisti, definiti dagli stessi intervistati come ‘apostoli di una fede indipendente, interessati in gran parte a questioni di ortodossia religiosa e a fenomeni percepiti come eretici’, che però controllano la Islamic students’ society dell’ateneo, lo stesso dove ha studiato il boia dell’Isis, Mohamed Emwazi, divenuto famoso con il nome di Jihadi John” (dal sito bergamopost.it).
A Westminster — sempre secondo il medesimo studio — tenevano conferenze personaggi come lo sceicco Haitham al Haddad, che giustificava la mutilazione genitale femminile e l’uccisione di chi abbandona la fede coranica. Sempre in quell’ateneo nel centro di Londra, capitale storica della democrazia e del parlamentarismo, gli aderenti alla società islamica citata sembra si valessero di interpreti per comunicare con le donne, musulmane comprese.
La logica è quella che conosciamo ormai fin troppo bene: il multiculturalismo è l’ideologia omologante e molle di cui l’islamismo approfitta per prosperare dietro le linee dell’Europa più secolarizzata e fare adepti. Terreno fertile per i reclutatori del terrore, insomma.
Abu Izzadeen non studiava all’università, faceva l’elettricista ed era stato radicalizzato nella moschea di Finbury Park. Non è stato lui, ci dicono da Londra. Ma ciò che conta è che non si farebbe fatica a recuperare nel “milieu” radicalizzato della capitale inglese il profilo idoneo per un attacco terroristico.
Né il multiculturalismo né la Brexit salveranno il Regno Unito. Il dialogo con una generazione divorata dall’odio sarà possibile solo riaffermando il senso della propria storia. È già successo. In altri tempi e alla luce di altre ideologie, nelle nostre università e nelle nostre città. Il terrorismo si piega solo davanti ad una comunità di fede e di ragione, fatta da diversi che si sentono sullo stesso cammino. Anche ieri tra coloro che sono intervenuti per fermare l’omicida, per soccorrere, per consolare, per piangere insieme quante storie differenti. I volti non anonimi ma protagonisti di una umanità rinnovata dal dolore, che non si arrende alla violenza di un’ideologia che non esita a farsi scudo di Dio per mascherare la propria insensatezza.