Giovedì 23 marzo, nel centro di Kiev, un sicario ha ucciso Denis Voronenkov, un ex deputato russo scappato con la moglie in Ucraina per sfuggire a un processo per truffa. Ex deputato del Partito comunista russo, con problemi giudiziari, una volta a Kiev aveva rilasciato alla stampa dichiarazioni pesantissime su Putin e il suo governo, dando ad intendere che aveva ben altro in serbo. Eppure non sembra che la lotta antiputiniana che diceva di aver sostenuto alla Duma fosse così eroica, almeno a giudicare dai suoi tweet entusiastici durante l’occupazione della Crimea. 



Insomma, un personaggio poco trasparente. E tuttavia, a cadavere ancora caldo russi e ucraini si sono lanciati nelle dietrologie. Tutti sono certi della propria versione dei fatti, scambiandola per verità assodata. I social hanno subito dato per certo che il killer fosse al soldo dei servizi russi: era di cittadinanza ucraina ma arruolato dal nemico. Dicono che l’uccisione è stata l’esecuzione esemplare riservata ai traditori. Anche le autorità ucraine sono certe che sia stata “l’eliminazione di un testimone secondo il tipico stile del Cremlino” (così il Procuratore capo Lucenko), e che si tratti di “un atto di terrorismo di Stato da parte della Russia” (così il presidente Porošenko). 



D’altro canto, la parte russa non è da meno, e afferma che abbiamo a che fare con una cinica provocazione dei servizi ucraini, perché è evidente che la morte di Voronenkov torna comoda all’Ucraina per poter accusare la Russia di ogni nefandezza. Il ministero degli Esteri di Mosca ha dichiarato che “Abbiamo motivo di credere che l’omicidio a Kiev dell’ex-deputato della Duma fosse su commissione, un’azione dimostrativa”. In pratica la stessa cosa detta dal Procuratore capo ucraino, solo capovolgendo le responsabilità.

In parole povere tutti hanno delle certezze. Le versioni sono opposte e speculari, non si differenziano in nulla.



Nessuna pietà per l’uomo il cui corpo è rimasto disteso sul marciapiedi di Kiev.

È la guerra di propaganda, iniziata con i fake della tivù russa sulle stragi fasciste a Kiev, che è dilagata ovunque: sulla Crimea, il Donbass, il boeing della Malaysia Airlines, i soldati russi in Ucraina e via discorrendo. È lo strascico fatale della guerra ibrida, che diventa ormai la forma mentis del nuovo mondo nato da questa guerra: è impossibile uscire dagli schemi propagandistici, giudicare i fatti come fatti. 

Ma perdere di vista i fatti reali è rischioso. Un soldato ucraino ha detto che all’inizio faceva fatica a sparare contro i russi, che sentiva fratelli, ora invece non gli importa più.

È lo stesso per Denis Voronenkov, come dice la scrittrice Ljudmila Ulickaja: “Magari l’ucciso era davvero un brutto soggetto. Ma perché le brave persone — non dico i farabutti e i ladri — si rallegrano della sua morte? …Da dove viene la soddisfazione nel sentire che è stato versato del sangue? Ma siamo normali, noi? Questo caso tragico ha messo in piazza la catastrofe morale della nostra società… Fermiamoci. C’è un giudizio superiore al nostro… lasciamo il giudizio a Colui che nella nostra coscienza incarna la carità e la giustizia”.