NEW YORK — Abbiamo sempre detto che questo non è un paese per vecchi. Cormac McCarthy l’ha anche scritto. Tutti lo sperimentiamo. Qui c’è molta più strada da correre che in Europa, molte più opportunità per giocare i propri talenti, ma solo fino ad una certa età, fino a che la tua capacità di menar le mani, di mettere le cose in moto, di costruire rientra nel grande quadro di un sistema concepito per produrre ricchezza. La grande domanda è se questo è il fondamento di un grande paese. Di quello che vorrebbe essere il più grande paese del mondo. 



La questione sanitaria — lo abbiamo sottolineato più volte — è uno dei grandi buchi neri di questo sistema e questo è assolutamente conforme alla logica sopra indicata: secondo natura, dei dottori si ha bisogno quando il mondo produttivo non ha più bisogno di noi (o almeno così il mondo produttivo pensa). Quindi, così è sempre stato da queste parti, ognuno si arrangi. Non voglio che lo Stato mi dissangui a suon di tasse per poi costringermi ad usare i suoi servizi. Fino all’ObamaCare, primo traballante tentativo di offrire a decine di milioni di americani la possibilità di rivolgersi ad un medico senza finire in mezzo ad una strada per debiti. 



L’altro giorno una delle grandi promesse elettorali di Trump — la completa eliminazione di questa forma semi-assistenziale di tutela della salute pubblica — si è miseramente arenata nelle secche di un partito repubblicano numericamente forte, ma drammaticamente privo di identità, ideali e capacità progettuale. Paul Ryan, lo Speaker della House of Representatives, non e riuscito a convincere tutti i repubblicani a spendere il loro voto per l’abrogazione dell’ObamaCare e l’introduzione della nuova normativa avanzata dall’amministrazione Trump. Non che costoro fossero favorevoli alla riforma fermamente voluta dal vecchio presidente e siglata sette anni fa. Tutt’altro. Quella quindicina di ribelli repubblicani si aspettavano di più dal nuovo presidente: una completa liberalizzazione del sistema, totalmente ed esclusivamente fondata sulla competizione fra istituti assicurativi. 



Ho provato in passato a “spiegare” il sistema sanitario americano. Non ci provo più. Tentativi ironici… troppo complicato. Quando si stipula, o si riceve dal proprio datore di lavoro una copertura assicurativa sanitaria nessuno in verità sa che cosa lo aspetterà in caso di bisogno reale: quali medici accetteranno la tua assicurazione, quali esami risulteranno coperti ed in quale misura… E tutto cambia in continuazione, con medici che entrano ed escono dai vari network a seconda di quello che le assicurazioni offrono loro. Unica cosa che si sa per certo è l’importo che bisognerà pagare al mese finché, alla scadenza dell’anno, il premio aumenterà in maniera drammatica. Un esempio? Il mio. Per me e mia moglie pago mensilmente 1600 dollari, dopo aver dovuto ingoiare il recente incremento del 30 per cento.  

Ma mentre quelli come me aspettavano di scoprire che cosa il futuro avrebbe riservato, Trump e le sue promesse elettorali si beccano una sberla in faccia di quelle che fanno male. E il sistema di checks and balances su cui si fonda la dinamica democratica americana mette una museruola pesante al neopresidente dopo appena due mesi dalla presa di potere. Almeno per un giorno i democratici brindano a champagne cercando di rifarsi un po’ la bocca dopo l’amara bevuta di bile del risultato elettorale di novembre. Trump invece deve fare i conti col fatto che quella che è chiamato a guidare è una democrazia, non una monarchia. Forse fino a ieri questo particolare gli era sfuggito. I “suoi” non bastano, e poi, chi sono i “suoi” oggi? I fedelissimi ribollono di rabbia, incapaci di dialogare, quelli che speravano in un cambiamento sono confusi, alcuni già scettici. I nemici intanto si preparano ai prossimi scontri sul gender, sull’ambiente, sull’immigrazione, convinti che l’importante sia essere contro, con la solita, acida intolleranza dei tolleranti. 

Possiamo pensare davvero di vivere quattro anni così?