Il primo discorso ufficiale di Donald Trump di fronte al Congresso ha riportato lo Yemen all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, soprattutto americana, la tragedia yemenita. Il nuovo presidente ha infatti tributato un commosso e un po’ enfatico tributo al sottufficiale dei Navy Seal ucciso durante un’azione nello Yemen, sconvolto da una guerra che dura ormai da più di due anni. Gli oppositori di Trump lo hanno accusato di sfruttare la morte del soldato a fini politici e per nascondere le proprie responsabilità in un’operazione decisa “in neppure mezz’ora durante una cena”. Da parte loro hanno sottolineato le lunghe discussioni dell’era Obama; ma francamente non sembra che questo abbia reso molto brillante la sua politica estera. Inoltre, l’operazione era in preparazione da mesi, ma poi si era deciso di aspettare l’elezione del nuovo presidente.



Il rilievo dato alla morte del soldato e alla perdita di un costoso elicottero sembra trascurare il fatto che ogni operazione militare comporta il rischio di perdite, di militari o di mezzi. Anche in questo caso si sono verificati quelli che si definiscono pudicamente “danni collaterali”, cioè la morte di civili, pur negati in un primo momento dalle fonti militari. Le inchieste in corso mirano a stabilire l’entità di queste perdite e le condizioni in cui l’intervento è stato condotto.



L’operazione, effettuata alla fine dello scorso gennaio da commando appoggiati da elicotteri e droni contro un villaggio base di al Qaeda, è stata definita da Trump come un’operazione antiterrorismo. L’obiettivo, infatti, questa volta non erano né i ribelli Houthi, né i sostenitori del deposto presidente Saleh. In Yemen, come in Siria e in Libia, al Qaeda ha approfittato del caos scatenato dalla politica della precedente presidenza americana per far affluire suoi affiliati e per allearsi con forze locali. L’intervento in territorio yemenita, coerente con il più volte proclamato obiettivo di combattere il terrorismo, ha però messo Trump di fronte all’estrema complessità della situazione, in cui le alleanze fra le varie forze in campo variano continuamente. I commando hanno dovuto combattere non solo con gli affiliati di al Qaeda, ma anche con milizie tribali, non necessariamente alleate dei terroristi, ma decise a opporsi a quelli che consideravano invasori del loro territorio.



Lo scopo principale dell’azione era il recupero di materiale che consentisse di capire più a fondo obiettivi e tecniche di quella che viene considerata una delle più pericolose organizzazioni affiliate ad al Qaeda. Su questo punto si erano accentrate le critiche degli oppositori, che sostenevano di scarso interesse il materiale raccolto e, comunque, ottenuto a un prezzo troppo alto. Notizie più recenti sembrano far pensare che sotto il profilo dell’intelligence il risultato sia non così negativo, ma la situazione rimane non chiara e le polemiche non si spengono. Ciò nonostante, Trump continua con le azioni antiterroristiche e all’inizio di marzo, in accordo con il governo yemenita, sono stati effettuati più di venti attacchi aerei contro installazioni di al Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap).

Oscurata dalle polemiche politiche rimane la tragedia in cui sta sprofondando lo Yemen, per le sempre più numerose vittime e distruzioni causate dalla guerra, per il grande numero di sfollati e per la incombente catastrofe umanitaria. Secondo un recentissimo rapporto dell’Onu, più di 460mila bambini stanno già soffrendo di grave malnutrizione e più di sette milioni di yemeniti necessitano urgentemente di essere riforniti di alimenti. La coalizione guidata dai sauditi, cui partecipano anche Stati Uniti, Francia e Regno Unito, ha bloccato il porto di Hudaydah, da cui transita circa l’80 per cento degli aiuti diretti al nord occupato dai ribelli Houthi. Secondo l’Onu, questa decisione può avere effetti devastanti e condannare alla fame milioni di yemeniti. La situazione sanitaria si sta aggravando sempre più e si stima che il 50 per cento delle strutture sanitarie sia distrutta o inagibile. L’Onu poi denuncia l’utilizzo di bambini come soldati, soprattutto da parte degli Houthi, e stima ad almeno 1500 i bambini soldato.

Suona grottesco ora ricordare il nome attribuito dai romani al sud della Penisola Arabica: Arabia Felix!