Attentati in Egitto. “Mettiamo al centro quello che già sta accadendo e che ha già sconfitto il terrorismo”, dice a ilsussidiario.net il professor Wael Farouq. Parole provocatore le sue, alla luce dell’ennesima strage di cristiani nelle chiese egiziane, stragi che, come dice lui stesso, “sono diventate una tragica tradizione che dura da decenni” ma dicono di un fatto accaduto a partire dalla rivoluzione del 2011, “un frutto che prima era inimmaginabile, l’incontro pacifico fra cristiani e musulmani, l’accoglienza e il rispetto e il ritorno dei cristiani stessi nella società egiziana”. E’ questo che i terroristi vogliono distruggere, la possibilità di una convivenza pacifica.



Colpire i cristiani garantisce ai terroristi una grande risonanza mediatica. E’ questa una delle ragioni delle recenti stragi nelle chiese?

Questi attentati non sono una novità in Egitto, purtroppo sono una triste tradizione che va avanti da decenni. I cristiani sono sempre stati vittime di attentati perché sono la parte più debole in questo cerchio malvagio di conflitto tra varie parti che si contendono il potere. 



Si può dire che è anche un modo indiretto per attaccare il governo? Con al-Sisi poi i cristiani hanno ottenuto maggiori libertà rispetto a prima. 

Si può dire, ma i cristiani vengono colpiti perché colpire loro significa procurare il massimo dolore al corpo che costituisce l’Egitto. Quello che i terroristi vogliono fare è distruggere ogni possibilità di convivenza tra cristiani e musulmani in Egitto.

Una convivenza che invece esiste?

E’ una convivenza che è nata come il frutto più bello della rivoluzione del 2011, quando il popolo egiziano ha riscoperto la sua diversità religiosa. Ne è scaturito un incontro che ha costruito una nuova fase di convivenza, di rapporti sociali e di lavoro fra cristiani e musulmani. L’immagine del cristiano isolato chiuso nella sua chiesa non c’è più, sono di nuovo protagonisti nella vita sociale, ecco perché questi attentati. Sono stragi contro i cristiani, ma sono stragi contro la convivenza.



Nessuno ne parla però di questa realtà.

Invece ci sono fenomeni che erano inimmaginabili nel passato, musulmani che mettono come profilo di Facebook la croce dopo gli attentati in Iraq, o lo slogan coniato dagli islamici “io sono nazareno”. I terroristi vanno contro queste cose per creare odio e divisione e ricostruire muri. 

Stanno riuscendo nel loro intento secondo lei?

Secondo me hanno fallito, perché le immagini che si sono viste dopo gli attentati degli scorsi giorni lo dicono chiaramente: mostrano musulmani in fila a donare sangue per i feriti cristiani, che hanno aperto le moschee per accogliere i feriti, così come abbiamo visto i cristiani celebrare la poliziotta musulmana con il velo uccisa mentre proteggeva la chiesa di Alessandria.

E’ sbagliato allora parlare soltanto di lotta interna per il potere?

E’ una riduzione di quello che accade. Limitarsi a mettere al centro del discorso al-Sisi e la politica nasconde qualcosa di molto più grande.

Che cosa?

La fede, una grande fede di persone, i cristiani, che da un mese erano minacciate, che dieci giorni fa hanno trovato una bomba in una chiesa e nonostante questo sono andati lo stesso a pregare la domenica delle palme, sapendo benissimo che rischiavano la vita. Usciamo dai discorsi di geopolitica e guardiamo a questa testimonianza di fede e all’accoglienza dei musulmani. Questa è la verità che viene tenuta nascosta.

Il fatto che il papa dopo queste stragi non rinunci alla sua visita in Egitto cosa le suggerisce?

Non ho mai pensato neanche per un secondo che il papa avrebbe cancellato la visita. Questo papa guarda la persona accettando il rischio che i fedeli corrono allo stesso modo. Possiamo essere sicuri che a Pasqua tutte le chiese in Egitto saranno stracolme di persone. Conto molto su questa visita perché il papa affronti il male del terrorismo. La presenza del papa e l’unità della chiesa cattolica e ortodossa è essenziale per i cristiani in Egitto.

Quest’anno ortodossi coopti e cattolici festeggiano la Pasqua nello stesso giorno, un altro grande segno.

Il papa combatte a suo modo la paura e il terrorismo, quello che sta facendo per fare unità tra i cristiani nel disegno di creare uno spazio per l’incontro con i musulmani è il suo modo di combattere il terrorismo. Sarà una visita storica, i cattolici in Egitto sono pochi ma sono anche la comunità maggiore in tutto il medio oriente.

Questo viaggio segnerà anche un momento cruciale del dialogo tra la Chiesa e l’islam, è così?

Anche qui spostiamo lo sguardo. Il papa non sta facendo un dialogo con l’islam, quel che sta facendo è una testimonianza, che io prego arrivi ai capi religiosi musulmani. Il papa non verrà a discutere la teologia musulmana, non lo ha mai fatto; propone la sua grande testimonianza, e io posso dire che alla maggioranza dei musulmani questa testimonianza è già arrivata per il modo sincero con cui fa quello che fa. La sua visita è essenziale come testimonianza di un amore che può vincere rabbia e dolore. Molte persone sono oggi amareggiate da quello che succede, ma c’è una persona, papa Francesco, che testimonia il bene e fa il bene. E’ la cosa più grande che si possa fare.

(Paolo Vites)