Caro direttore,
viviamo in un periodo decisamente difficile se perfino il periodo della guerra fredda può essere rivalutato, almeno per certi aspetti. Gianluigi Da Rold sul sussidiario, nel commentare i recenti fatti di politica internazionale, ha ricordato la “grande politica” e il “grande realismo” delle classi politiche di allora, che consentirono un periodo di convivenza pacifica. Almeno ai Paesi inseriti nel patto di Yalta, deciso nel 1945 da Roosevelt, Churchill e Stalin in quella penisola di Crimea ora ridiventata oggetto del contendere. Questi accordi tra le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale hanno consentito una relativa stabilità e pace all’Europa Occidentale, ma non al resto del mondo. In base al patto di Yalta, il Pci non rispose con l’insurrezione all’attentato contro Togliatti, l’Urss non intervenne nel tentativo di rivoluzione dei comunisti greci tra il 1946 e il 1949; per converso, gli Stati Uniti non intervennero nella rivolta operaia del 1953 a Berlino Est, nella rivoluzione ungherese del 1956, repressa nel sangue dall’esercito sovietico, e non si mossero di fronte al soffocamento con la forza della Primavera di Praga del 1968. Il prezzo della nostra pace è stato pagato in gran parte dagli europei dell’Europa orientale sottoposta al giogo comunista.



Anche l’America Latina ha pagato il suo prezzo, con le dittature di destra, spesso sostenute apertamente dagli Usa, e con le guerriglie scatenate dai movimenti di sinistra, magari appoggiati dalla teologia della liberazione. L’onda lunga di quel periodo è ancora ben presente, basti pensare alle difficoltà di pacificazione della Colombia o alla disastrosa situazione del Venezuela. La crisi di Cuba nel 1962 è stato il momento forse più “sull’orlo del burrone”, con l’installazione di missili sovietici nell’isola dopo che, l’anno prima, Kennedy aveva dato luogo all’operazione Baia dei Porci, il fallito tentativo di invasione da parte di esuli anticastristi. Come scrive Da Rold, Kennedy e Kruscev ebbero per fortuna il buon senso, che si spera abbiano anche gli attuali leader, di trovare un accordo: ritiro dei missili russi contro promessa di non tentare più l’invasione dell’isola. Il prezzo lo hanno pagato i cubani con altri decenni di dittatura castrista.



Analogo discorso per il Vietnam: il “disgelo” con la Cina maoista portò nel 1975 alla riunificazione del Paese sotto la dittatura comunista. Sembra ormai del tutto dimenticata la tragedia dei boat people, almeno 800mila vietnamiti che abbandonarono il Paese dando luogo a un’ecatombe in mare. Anche la marina militare italiana nel 1979 partecipò alle operazioni di salvataggio, portando in salvo 900 persone.

La giusta definizione di Da Rold dell’attuale situazione, “un grande disordine”, richiama alla memoria Nuovo Disordine Mondiale, il libro di Michel Schooyans uscito nel 1997 ed editato in Italia dalle Paoline nel 2000. L’autore è un sacerdote belga, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio, che nel libro analizza a fondo gli elementi che, nel tentativo di imporre un Nuovo Ordine Mondiale, hanno portato invece a un nuovo disordine, come vent’anni dopo possiamo purtroppo constatare. Padre Michel espone anche tutti gli interventi che noi cristiani possiamo e dobbiamo portare avanti per contrastare questo immanente disordine.



Nella prefazione, l’allora cardinale Joseph Ratzinger richiama la necessità di opporre “l’escatologia all’ideologia che è alla base delle costruzioni ‘postmoderne’ dell’avvenire”. Su questo punto, Ratzinger aggiunge: “la voce dei cristiani si è fatta negli ultimi decenni sicuramente troppo debole e troppo timida”. E conclude, commentando l’ultima parte del libro: “[… ] in contrasto con la nuova antropologia [Schooyans] propone innanzitutto i tratti fondamentali dell’immagine cristiana dell’uomo, per applicarli poi in maniera concreta ai grandi problemi del futuro ordine mondiale”. Una proposta ancor più urgente vent’anni dopo.

Dario Chiesa