“Ci sarà un’unica bandiera, un’unica nazione e soprattutto un unico popolo”, ha detto Erdogan a urne chiuse, ma il voto di ieri è uno schiaffo all’uomo che voleva tutta la Turchia dietro di sé. La riforma costituzionale passa con il 51,3 per cento di Sì: appena un milione di voti, contestati dal fronte del No (“I nostri dati indicano una manipolazione nell’intervallo del 3-4 per cento”, ha dichiarato il partito filo-curdo Hdp) che ha vinto nelle tre maggiori città del paese, Istanbul, Ankara e Smirne. Nel suo discorso Erdogan ha invocato il rispetto del risultato: “Soprattutto Paesi che consideriamo alleati dovrebbero rispettare le nostre scelte”. Una dichiarazione a suo modo preoccupante, che non cancella il timore di nuove tensioni nel paese e induce alla cautela i paesi europei.



Con la vittoria del Sì, la Turchia abbandona il sistema parlamentare voluto da Mustafa Kemal nel 1924 e adotta un sistema presidenziale che concede amplissimi poteri al capo dello Stato. La riforma abolisce la carica di primo ministro e ne trasferisce i poteri al presidente, che diviene così capo di Stato e di governo. Il presidente nomina i ministri e altri alti funzionari senza necessità di consultare il parlamento e di averne l’approvazione, nomina quattro dei tredici membri del consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri oltre al ministro della giustizia e al suo segretario di Stato, decide la nomina dei rettori universitari, può sciogliere in qualsiasi momento il parlamento. 



“Sì, la Turchia è spaccata in due — dice al telefono Nihal Batdal, scrittrice turca —. Questa situazione dimostra che il popolo turco non gradisce una campagna elettorale così aggressiva e distruttiva. Erdogan dovrà fare i conti con il suo approccio”. 

Il presidente rinforza i suoi poteri: leggiamo che con la nuova riforma costituzionale potrà restare al potere fino al 2034. Com’è possibile?

Credo che non ci sia ancora certezza su quella data, ma è ovvio che con tali poteri non sarà facile che Erdogan lasci presto il suo posto da presidente. 

La Turchia è ancora una democrazia?



Dipende dalla definizione che si dà di democrazia: se si intende il potere della maggioranza, sì. Ma se con essa si intende anche la separazione dei poteri, no, non sarà più un paese democratico. 

“È un Sì per una nazione, una bandiera, una patria, uno stato”. Lo ha detto Erdogan in uno degli ultimi comizi, lo ha ripetuto ieri sera. Come dobbiamo intendere questa dichiarazione?

Credo fosse un motto per convincere l’elettorato di Mhp, il Partito del movimento nazionalista. E ora per tenere buoni tutti, all’insegna dell’unità nazionale.

Chi è oggi in Turchia il primo avversario di Erdogan?

I due principali partiti d’opposizione (Chp e Hdp) sostengono che il sistema presidenziale aprirà la strada al regime di un uomo solo al comando. Il referendum ha dimostrato che i sostenitori dei partiti d’opposizione sono ancora molti. 

Gli attivisti del No hanno denunciato violenze e intimidazioni. E’ vero?

Oltre alle violenze e alle intimidazioni, c’è anche il fatto che un elevato numero di certificati elettorali non portano il timbro ufficiale e ciò nonostante saranno considerati come voti regolari. Erdogan, anche prima dei risultati ufficiali, ha già salutato i suoi sostenitori festeggiando la vittoria. 

Come cambierà l’articolazione di islam e potere politico in Turchia dopo la riforma?

Credo che d’ora in poi Erdogan, non avendo avuto nelle urne il successo che sperava, farà di tutto per consolidare la sua posizione e incrementare il consenso. Con solo il 51 per cento dei voti non penso che, almeno all’inizio, ci saranno cambiamenti netti e drastici. 

Con un Erdogan ancor più padrone della Turchia, cosa cambierà nell’area mediorientale?

La politica estera della Turchia è fallita e Erdogan ha sempre usato la scusa di non avere abbastanza autorità per fare ciò che doveva essere fatto. Adesso si vedrà se la sua “Turchia più forte” sarà in grado di tenere una posizione netta nei confronti dell’Isis e rielaborare i rapporti con la Siria.

E con l’Europa?

Erdogan ha visto che scontrarsi con l’Europa non paga in termini di voti e quindi credo che, almeno fino a quando non otterrà maggiore consenso, punterà a migliorare le relazioni con i paesi europei.

(Federico Ferraù)