Le crescenti preoccupazioni europee per la perdurante crisi economica, l’immigrazione, la Brexit, i populismi e le imminenti elezioni in alcuni Paesi chiave: sono fattori che rischiano di distogliere l’attenzione occidentale da un tema fondamentale, quello dei Balcani. Farlo sarebbe un errore, perché, soprattutto in questo delicato momento di riassetto delle dinamiche internazionali, potrebbe portare conseguenze serie all’intero progetto europeo, sia sul piano politico che della sicurezza. I Balcani infatti sono parte integrante dell’Europa e il disegno europeo non sarà completo finché essi non ne faranno parte e, inoltre, un’Europa senza Balcani, o con una sola parte di essi, sarà meno protetta sullo strategico fianco orientale e, perciò, meno sicura. 



I Balcani costituiscono un crocevia impressionante di culture, etnie, lingue, ma la comune matrice europea emerge in modo evidente, anche se talora contraddittorio, nella presenza di testimonianze artistiche, culturali e religiose. Inoltre, l’aspirazione all’integrazione europea è, sia pure in proporzioni diverse, maggioritaria tra la popolazione nell’intera regione, mentre l’ingresso nella Nato viene avversato soprattutto dalle componenti serbe, tradizionalmente molto influenzate dalla Russia. 



La situazione è certamente a macchia di leopardo, ma possiamo provare a sintetizzarla. I Paesi meno “balcanici” e più europei, la Slovenia e la Croazia, sono già membri della Ue e della Nato; l’Albania è membro effettivo della Nato ma non della Ue, e la stessa cosa accadrà tra qualche mese al Montenegro, che completerà il percorso di adesione all’Alleanza Atlantica ma che è ancora lontano dall’ingresso nell’Unione. La Bosnia-Erzegovina, con il suo strano assetto perfettamente tripartito tra le etnie bosniaca, croato-bosniaca e serbo-bosniaca — figlio degli accordi di Dayton del 1995 — vede una unanime determinazione verso l’integrazione nella Ue, mentre per quanto riguarda la Nato, al di là delle dichiarazioni ufficiali, la componente serba, organizzata nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Repubblica Srpska), cerca di rallentare in tutti i modi il percorso di adesione. La Macedonia sta lavorando sia per l’adesione alla Nato che per quella alla Ue, mentre Serbia e Kosovo costituiscono, per ragioni diverse, i casi più complessi.



È uno scenario certamente complesso, in cui è tuttavia indispensabile continuare a sostenere i Paesi dei Balcani nelle loro legittime aspirazioni di integrazione euro-atlantica. In caso contrario si rischia di portare ulteriore acqua al mulino russo, che da sempre ha importanti interessi e grande influenza nella regione, con evidenti risvolti negativi per l’Europa. È chiaro, infatti, come la stabilità della regione balcanica, tassello fondamentale per la stabilità dell’intero sistema internazionale, risulti scomoda per la Russia, riducendo il suo spazio di manovra. A sostegno di ciò è utile ricordare le recenti attività di agenti segreti russi per organizzare un colpo di stato in Montenegro (originariamente attribuito ai nazionalisti serbi) al fine di evitare l’adesione del Paese nella Nato, il sostegno del Cremlino al presidente separatista della Repubblica Serba di Bosnia e l’ostinata difesa russa di diversi partiti politici in Macedonia contrari all’integrazione europea. 

La situazione di continua precarietà dell’area balcanica, unitamente ai conflitti etnici ed alle condizioni di povertà, alimenta inoltre la crescente minaccia terroristica di matrice jihadista che guarda anche all’Europa. In questo senso, non va sottovalutata la crescente influenza esercitata dall’Arabia Saudita a sostegno del processo di islamizzazione. L’Italia, dati gli ingenti flussi migratori cui è sottoposta, è spettatrice interessata: secondo l’ultimo rapporto dei nostri servizi segreti, infatti, l’hub europeo dei terroristi fondamentalisti risiederebbe proprio nel quadrante balcanico, soprattutto per quanto concerne il reclutamento dei foreign fighters e l’accoglienza dei combattenti di ritorno dal Medioriente. Ma è l’intera Europa ad essere particolarmente esposta a questi rischi sul piano della propria sicurezza, e deve quindi rafforzare l’azione politica di supporto alla intera regione.

In questo scenario è utile ricordare l’impegno della Nato, che nell’area ha permesso di raggiungere diversi obiettivi concreti. L’Alleanza ha attualmente un duplice ruolo: il primo relativo alla stabilità regionale a cui contribuisce soprattutto attraverso il contrasto del terrorismo, con importanti riflessi sulla sicurezza degli altri Stati membri; il secondo nell’accompagnare il processo di avvicinamento ed integrazione dei Paesi balcanici all’ala occidentale della Comunità internazionale. 

L’imminente adesione del Montenegro all’Alleanza è il risultato più evidente di tali sforzi e dimostra che nella regione c’è spazio ed interesse per i processi democratici, i quali saranno sempre apprezzati e supportati. Ai fini della stabilità e della sicurezza regionale, questo ingresso ribadisce ancora una volta la politica della “porta aperta” dell’Alleanza atlantica e consolida l’intero processo di integrazione nelle istituzioni europee ed atlantiche dei Balcani. 

In tal senso va ricordato come la Nato e l’Unione Europea siano spesso percepiti come un unico “blocco” dai partner balcanici. Pertanto l’adesione ad una delle due significa spesso compiere un importante passo anche verso l’altra. Per questo la Nato ha la possibilità di divenire un importante pull factor per quei Paesi che si dimostrano interessati ad aderire, spingendoli anche verso l’Europa: valga per tutte l’esempio della Croazia, diventata membro della Nato nel 2009 e solo 4 anni dopo entrata nella Ue.  

Il dibattito sulla necessità di un sistema europeo di difesa comune, già vanamente invocato da De Gasperi come strumento privilegiato verso una vera Unione politica, si ripropone oggi in tutta la propria, decisiva, portata. Ma esso non può essere realizzato senza la Nato o contro la Nato, bensì in perfetta sinergia con essa: i Balcani ne sono una prova evidente.