Da un punto di vista storico, la Francia è stata ribaltata. Per la prima volta in elezioni presidenziali, il partito che è stato creato dal generale De Gaulle, fondando la quinta repubblica, non parteciperà al ballottaggio. François Fillon, il superstite di una lunga tradizione politica, si è battuto bene, nonostante gli scandali e i fulmini giudiziari che lo hanno investito, ma nel conteggio dei voti del primo turno Fillon è quasi alla pari, o forse solo poco avanti, rispetto all’ex trozkista Jean Luc Mélenchon, il leader dell’unica sinistra sopravvissuta in Francia, perché il partito socialista del presidente Hollande, rappresentato da Benoît Hamon, si è fermato al 6 per cento. Di fatto, non esiste più e Hollande, il traballante o il “sempre incerto” presidente dell’Eliseo, è stato il becchino di quello che fu il partito di Mitterrand.



Questa volta i sondaggi non hanno sbagliato clamorosamente. A contendersi l’Eliseo saranno l'”enfant prodige” Emmanuel Macron, che si dichiara “Né di destra né di sinistra”, e la leader dell’antisistema in Francia e in Europa, Marine Le Pen, il capo del Front national.

Si è capovolta, storicamente, la politica francese. Hanno vinto e si fronteggeranno il 7 maggio due partiti che nascono entrambi dalla protesta e dal tramonto della vecchia politica. Solo nel 2002, il ballottaggio vide l’irrompere sulla scena del padre della Le Pen, Jean Marie e la sconfitta del socialista Lionel Jospin. Poi passò il gollista Jacques Chirac a mani basse e il bipartitismo di sistema restò tradizionalmente quella tra socialisti e gollisti con nuova denominazione.



Ma ora la situazione è completamente mutata: i due vecchi partiti che rappresentavano l’establishment, i socialisti  e i gollisti, sono stati sconfitti e il vecchio establishment ha dovuto reinventarsi il non ancora quarantenne Macron per fare quadrato e salvare la Francia della quinta repubblica. Con un partito che, di fatto, non esiste ancora e assomiglia a un movimento “En marche”.

Ora è difficile comprendere quello che può accadere. Fillon e Hamon hanno subito dichiarato che voteranno per Macron, facendolo diventare un rappresentante ufficiale della continuità del vecchio establishment, con un vestito rinnovato. 



Ma è proprio questa investitura che pone la Francia in una spaccatura profonda e, nel momento in cui si voterà per la Camera, ci sarà una situazione di tipo italiano, con una frammentazione di partiti mai più conosciuta dai tempi della quarta repubblica, e probabilmente una scarsa possibilità di governare tranquillamente in un panorama politico che sembra nato da una legge elettorale proporzionale.

Certo la partita che si gioca è soprattutto quella sull’Eliseo, essendo la Francia una Repubblica, tecnicamente, semipresidenziale. Ora occorre fare alcune considerazioni. La prima è che lo scarto tra i due partecipanti al ballottaggio, che a quest’ora non si conosce ancora bene, sembra limitato a un paio di punti tra Macron e Marine Le Pen, Questo vantaggio non offre a un candidato la garanzia di un sicuro pronostico vincente. E’ evidente che Macron, dopo l’investitura che gli hanno dato gli sconfitti storici, è favorito, ma avrà diversi problemi. 

L’euroscetticismo in Francia continua a crescere e l’anima profonda non ama affatto questo establishment, che ha raccolto con il presidente Hollande il 6 per cento dell’elettorato. Quindi un candidato antisistema è guardato inevitabilmente con simpatia.

Anche se, bisogna aggiungere, il caso Le Pen è particolare. Marine Le Pen ha i numeri a posto per l’antieuropeismo e le rivendicazioni degli esclusi. Si pensi che tra gli operai francesi il primo partito è il Front national con il 44 per cento dei voti. Solo Mélenchon è riuscito a contenere lo strapotere della leader della destra estremista nella grandi fabbriche transalpine.

Estremista, è questo il fardello che si porta dietro Marine Le Pen, che ha riverniciato il Front national, ma non ha potuto consumare il “parricidio” di Jean Marie, che evoca nei francesi il collaborazionismo di Vichy con gli invasori nazisti. Non a caso Fillon ha specificato (raccogliendo anche qualche dissenso dalla sua platea) che voterà per Macron contro la “destra estremista che ha avuto una storia di violenza”.

In realtà con le percentuali che sono state raccolte, il vincitore lo si conoscerà solo il 7 maggio dopo quindici giorni di grande incertezza. Le varianti sono sia la scarsa affluenza al voto nel secondo turno, sia lo spostamento dei voti gollisti e socialisti su Macron che deve giocare inevitabilmente sulla unificazione dello spirito repubblicano, ma l’impresa non è semplice, sia tra i votanti di Fillon sia tra quelli di Mélenchon. 

E in fondo anche Macron ha un peso “familiare”. Non è il figlio di Hollande, ma sicuramente è il “figliastro” di questo presidente disastroso. Dovrà scrollarsi di dosso questo peso, questo lascito, e teme anche endorsement troppo forti da chi ha portato la Francia nella situazione politica attuale. A questo punto, Macron si può considerare favorito, ma la partita per l’Eliseo è ancora apertissima.