Non a tutti piacciono i francesi. Un po’ altezzosi, molto nazionalisti, a volte incapaci di riconoscere la forza altrui, come canta Paolo Conte, “tra i francesi che s’incazzano…”, riferendosi al grande Bartali.
Ma a volte ci danno lezioni pesanti, che dobbiamo saper accettare.
Ci sono almeno cinque aspetti del primo turno delle elezioni presidenziali in Francia che suonano da monito per noi e per la nostra politica.
1. Accade, in Francia, che un candidato con poco più del 20 per cento dei voti diventerà presidente della Repubblica. In Italia, una legge elettorale come questa sarebbe stata probabilmente abbattuta per via giudiziaria. Eppure la Francia è una grande democrazia, e non ha paura di derive autoritarie, che il popolo comunque non permette. La nostra Consulta si interroghi sulla paura di consentire un premio di maggioranza, magari progressivo, che parta dal 35 o anche dal 30 per cento.
2. Accade, in Francia, che all’indomani dei gravissimi attentati che hanno funestato il Paese, la gente si stringa attorno alle proprie istituzioni e vada a votare in massa: persino Marine Le Pen ha rispettato un doveroso silenzio all’indomani dell’agguato sugli Champs Elysées, rinunciando all’ultimo possibile spot preelettorale. Si domandino i Salvini e i Grillo cosa avrebbero fatto loro in un caso simile, se non chiedere dimissioni di Governo, presidente della Repubblica e pure del Papa.
3. Accade, in Francia, che — nonostante tutto — le forze anti sistema totalizzino il 20 per cento o poco più dei consensi. Da noi, mettendole tutte insieme, si va ben oltre il 40 per cento. Il nostro popolo ci rifletta, la maturità non sta nel desiderio di abbattere ma nella voglia di costruire.
4. Accade, in Francia, che una campagna elettorale sia combattuta sui contenuti e non sugli schieramenti. Il voto è un vero referendum per l’Europa, e Macron vince proprio per non avere inseguito i populisti. Si domandino Renzi e Berlusconi se vale la pena di fare a gara con Grillo e Salvini sull’anti europeismo, con la sola conseguenza di portare loro ulteriori consensi, perché alla fine si vota sempre l’originale e non la (brutta) copia.
5. Accade, in Francia, che il principale sconfitto chieda subito ai suoi elettori di sostenere al ballottaggio colui che lo ha battuto, in nome dell’interesse del Paese. In Italia questa logica pare non esistere, perché personalismi e veti incrociati prevalgono sempre, vedi caso Appendino a Torino. Renzi e Berlusconi non chiedano a Macron come si fa a vincere, ma vadano a lezione da Fillon per imparare come si può perdere con grande dignità, pensando al bene del popolo. Come ancora oggi ci richiamano le parole di Alcide De Gasperi: “un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”.
Bartali, che faceva incazzare i francesi, e Coppi, il grande rivale che tante volte lo aveva sconfitto, sapevano anche aiutarsi quando uno dei due era in difficoltà. Ci mancano tanto i Coppi e i Bartali nella nostra politica: e pensare che non sarebbe così difficile sapersi scambiare la borraccia, per il bene dell’Italia.