Human Rights Watch si oppone alla decisione del governo cinese di vietare ai genitori di dare ai loro figli nomi “musulmani”. La denuncia parte da Radio Free Asia, che rende noto cosa sta avvenendo nello Xinjiang, sottolineando che si tratta di una restrizione alla libertà religiosa, come si legge in un comunicato Sophie Richardson, la direttrice della sezione cinese di Human Rights Watch: “Questa è solo l’ultima di una sfilza di nuovi regolamenti che restringono la libertà religiosa nel nome, appunto, della lotta all’estremismo religioso”. Secondo quanto riportato da Repubblica.it in Cina sarebbe in atto una vera e propria “guerra del terrore” per cinesizzare gli Uiguri, popolo dalla cultura millenaria che abita nello Xinjian, proprio come avviene in Tibet. La resistenza degli Uiguri viene esaltata dall’Isis, che poche settimane fa ha condiviso un video in cui mostrava i combattenti di questo popolo mentre minacciavano di portare la guerra fuori dal territorio per fare pagare alla Cina ke centinaia di morti e le violenze subite da uiguri e Han, la maggioranza etnica del Dragone.



La Cina risponde con leggi speciali e oltre a vietare che ai neonati siano dati nomi musulmani, mette al bando barbe lunghe e velo sui mezzi pubblici. La stretta sui nomi è solo l’ultima di questi provvedimenti e Human Rights Watch non esita a definirla assurda, visto che scegliere il nome dei propri figli dovrebbe essere Human Rights Watch. I nomi messi al bando sono in realtà 12 tutti legati alla religione islamica: tra  questi ci sono Islam, Quran, Saddam e Mecca e ogni nome nel quale ci sia un riferimento ai simboli delle stelle o della luna crescente. In caso di violazione delle nuove regole, il neonato non potrà essere registrato nei documenti familiari e avere accesso ai servizi sanitari e sociali, oltre che all’istruzione.

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