Che i campi di prigionia della Corea del Nord fossero al livello dei campi di concentramento nazisti o staliniani lo si sapeva da tempo. Alcuni prigionieri riusciti a fuggire in occidente ne avevano parlato diffusamente. Adesso però a raccontare l’orrore di Kim Jong-un per la prima volta è una ex donna poliziotto che prestava servizio in uno di questi. Le atrocità viste durante i sette anni di servizio hanno lasciato uno shock permanente nella donna (che in seguito è finita anche lei in prigione dopo aver cercato di fuggire in Cina e adesso vive a Seul dopo una seconda fuga riuscita). Lim Hye-jin ne ha parlato in una esclusiva pubblicata dal quotidiano inglese Daily Mail: “Eravamo stati addestrati accuratamente nel non provare alcun sentimento nei confronti dei prigionieri, che dovevamo considerare alla stregua di animali e non esseri umani”. Prigionieri che come si sa anche questo sono finiti in questi campi di detenzione per i motivi più banali, come essere stati scoperti a guardare i canali televisivi della Corea del sud o aver lasciato della polvere su immagini del “leader supremo”. La ex poliziotta racconta ad esempio di quando un suo collega, annoiatosi durante l’interrogatorio di una donna, le ha dato fuoco viva. O della rappresaglia quando due prigionieri sono riusciti a fuggire. Sette membri delle loro famiglie furono immediatamente uccisi mentre numerosi altri prigionieri venivano picchiati brutalmente incolpati della fuga. I due vennero in seguito arrestati dalla polizia cinese e restituiti alla Corea del nord. Riportati nel lager, torturati per giorni, furono decapitati davanti a tutti mentre gli altri prigionieri erano obbligati a tirare loro addosso delle pietre, come esempio per chi volesse fuggire. In questi campi vengono imprigionati anche i figli di coloro che vengono arrestati e così anche i nonni: la regola è punire i colpevoli per tre generazioni. La fame è la regola quotidiana: la gente muore per malnutrizione o perché costretta a lavori forzati a temperature glaciali o nelle miniere, condannati a vita come schiavi. Gli incidenti di lavoro sono continui: una esplosione in una miniera uccise 300 persone, le guardie si limitarono a chiudere il tunnel lasciando i corpi sotto terra, mentre altri prigionieri ancora vivi erano là sotto. Le donne sono sottoposte a stupri continui e in caso rimangano incinte, sono obbligate ad abortire, uccise con iniezioni letali e se la gravidanza è troppo avanzata, i bambini vengono picchiati fino alla morte o sepolti vivi. Sono obbligati a lavorare sette giorni su sette, la sveglia è alle 5 del mattino e di regola devono lavorare 16 ore al giorno. Esistono documentazioni di questi lager ottenute dai satelliti, ma ovviamente il regime nega esistano.