I mercati globali sono tutt’ora ben intonati, al giro di boa delle due settimane fra il primo e il secondo turno delle elezioni presidenziali francesi. Il ballottaggio fra Emmanuel Macron e Marine Le Pen si annuncia come un confronto fra la leader del Front national e “il resto della Francia” visti i contenuti del programma dichiarato dalla Le Pen ed il loro significato in termini di incremento di incertezza che porterebbero certamente sui mercati finanziari. La ragione per cui l’elezione di Macron appare supportata dalla quasi totalità delle forze politiche francesi appare logica, nell’ottica dell’establishment, che si vedrebbe fortemente scosso dalla vittoria della rappresentante di estrema destra. Una caratteristica singolare di queste elezioni per la Francia sembra essere che entrambi i candidati raccolgano un voto di rifiuto ai rappresentanti politici più tradizionali. Scavando poco sotto la superficie, emergono sensazioni che paiono, se non smentire, almeno mettere in dubbio la conclusione che si può trarre dalla primissima lettura. La chiave di lettura del dubbio sta soprattutto nell’analisi di chi è Macron.
Laureato dell’Ecole Nationale d’Administration, da cui escono tutti i governanti e capi azienda francesi (chi esce da scuole diverse sembra destinato a vita a rimanere un signor nessuno senza speranze), ex dipendente della banca della famiglia Rothschild, non nota per il suo spirito rivoluzionario nel mondo, tanto meno in Francia (dove sembra essere una banca di riferimento molto bene affermata), già ministro economico del presidente meno apprezzato nella recente storia francese. Macron ha il vantaggio di sapersi presentare bene, avere creato un movimento politico da zero, che non si confonde, almeno nell’immagine, con nessun passato sgradito. Oggi fortemente sostenuto da François Fillon e Nicolas Sarkozy tra gli altri, apprezzabile nella volontà di mostrarsi aperto, apparentemente sincero anche quando le sue affermazioni possono essere sgradite.
L’incontro avuto con gli operai della Whirlpool ad Amiens, ai quali ha dedicato un’ora in confronto ai dieci minuti concessi dalla Le Pen, ne è un chiaro esempio. Macron ha promesso che lo Stato non sarebbe intervenuto a salvare quei posti di lavoro, ma avrebbe studiato soluzioni, la Le Pen ha affermato che quei posti sarebbero stati mantenuti per intervento dello Stato. Forse le affermazioni di Macron non gli hanno procurato un vantaggio presso quell’uditorio, in confronto a quanto ottenuto dalla Le Pen. Rimane che il linguaggio di Macron può iniziare ad apparire un po’ allineato con l’insieme politico rispetto al quale l’elettore ha mostrato di cercare un cambiamento (se sommiamo i voti che si sono espressi alle componenti politiche più alternative ai voti che, come protesta esplicita, sono arrivati alla Le Pen, non possiamo ignorare che il loro totale è rilevante).
Tornando su Macron e ricordandoci la descrizione della persona appena ricordata, vediamo che il voto di protesta non può aprioristicamente essere ipotizzato totalmente a suo favore. Aggiungiamo una ulteriore considerazione data dal confronto tra l’elettore tipo di Fillon (cattolico tradizionale di centrodestra) e l’immagine pubblica di Macron (che, anche nella vita di coppia, non si sposa con lo stereotipo di solito associato all’elettore di Fillon) e capiamo che anche l’elettore cattolico tradizionale potrebbe trovarsi in difficoltà nel votare Macron con fermezza.
Guardando a questi soli ragionamenti, l’interrogativo è: perché escludere per forza che l’astensione non salga rispetto alla normale storia francese? Perché dare per certo che i voti che seguono Fillon e Sarkozy si riconoscano sicuramente meglio in Macron che in Le Pen? Perché pensare che l’assenza di una macchina amministrativa di partito (che il Front National ha) non va considerata nella valutazione del risultato atteso? Un errore compiuto dalle agenzie di sondaggio in Usa alle ultime elezioni è stato di non considerare a sufficienza il fatto che le classi demografiche degli elettori stanno cambiando di peso relativo, il non voto può divenire più importante, lo stigma associato ad un minore contenuto democratico, secondo alcune analisi sociologiche, sarebbe meno importante per le generazioni più giovani.
I mercati finanziari, dopo l’elezione di Trump, ci hanno offerto una bella festa, in ottica di solo trading (i fondamentali delle economie globali rimangono più che robusti), vale la pena considerare il vecchio motto “sell in may and go away”?