Se la guerra è sempre “politica con altri mezzi”, lo strike missilistico Usa contro la Siria è parso rispondere a una serie molto articolata di istanze politiche che stavano sfidando l’amministrazione Trump quasi al giro di boa dei primi cento giorni. E – ragionando sul “trumpismo allo stato nascente” – non è facile distinguere fra scacchiere geopolitico e “fronte interno”.



L”America great again del nuovo presidente Usa, agisce, interviene. Non diversamente da tutta l’America contemporanea: quella che sblocca e conclude in Europa la prima guerra mondiale, termina la seconda con le atomiche sul Giappone, conduce trent’anni di guerra fredda e poi combatte una quindicina d’anni nel Golfo. Giusta o sbagliata, l’America c’è, sempre, da protagonista. Qualche volta manca l’obiettivo ma reagisce in fretta: apre alla Cina quando capisce l’errore commesso in Vietnam.



Quello che l’America “vera” non ha mai fatto è quello che invece ha fatto Barack Obama negli ultimi otto anni: osservare, “discorrere” continuamente in politically correct per non fare alla fine mai nulla. Rilanciare una mini-guerra fredda alla Russia in Ucraina, ma sotto le mentite spoglie di un Premio Nobel alla Pace preventivo al primo presidente afro. Lasciare fare alla Corea del Nord e firmare – ma solo a fine mandato – un armistizio con l’Iran che non ha convinto nessuno. Lasciare che i Clinton combinassero mess, “casini” a ripetizione in Libia e altrove, fra segreteria di Stato e fondazioni private. Regalare agli ascolti Cnn le primavere arabe, salvo poi richiamare in fretta i generali egiziani. Non chiamare mai “terroristi” quelli dell’Isis e farsi detestare da Israele al punto che la comunità ebraica Usa vota The Donald.



Ricordate i rovelli di Angela Merkel, davanti “agli occhi dei bambini che fuggono dalla Siria”? Trump, di fronte alle foto dei bambini gasati in Siria non è rimasto impassibile o esitante: si è arrabbiato. E ha fatto – subito – quello che avrebbe fatto quell’Americano primigenio di nome John Wayne: è andato a prendere a pistolettate i cattivi (e chi gasa i bambini è cattivo per davvero, soprattutto se non è un film). Qualcuno – ad Harvard o sul New York Times – avra’ qualcosa da dire?

A proposito di New York Times: stamattina sul sito che apriva sui missili in Siria, campeggiava ancora un titolo sulle indagini Cia riguardo i presunti appoggi di Vladimir Putin alla campagna presidenziale di Trump. Ancora chiacchiere su questo fake del Russiagate, del patto scellerato fra i due Impresentabili? Con Putin che accusa Trump di aggressione? Con le cancellerie internazionali affannate per davvero, idem i mercati finanziari?

A proposito di Isis: due mesi dopo il bando all’ingresso negli Usa da sei paesi a rischio-Isis, due settimane dopo l’allerta sui tablet negli aerei provenienti dalla stessa area, dieci giorni dopo l’attacco di Londra, poche ore dopo l’attacco a San Pietroburgo e poche ora prima di quello di Stoccolma, gli Usa di Trump colpiscono il regime che da anni ha ingaggiato un confronto “sporco” con il califfato, dando a tagliagole e foreign fighters una legittimità geopolitica minima di “valorosi combattenti etc etc”. Trump – esattamente agli antipodi dell’obamismo – dice che il gran disordine sotto il cielo mediorientale non può continuare: lo ha detto alla Russia ma anche a Israele; all’Arabia Saudita, alla Turchia e anche all’Iran. Lo ha detto anche al giornali della East Coast, quelli che pubblicano le foto di Obama ospite dei miliardari alle Isole Vergini, sperando che torni con la sua narrazione feelgood della Fine della Storia, di un mondo normalizzato dall’America democrat & digital, in cui Washington alza la voce solo ormai contro il riscaldamento climatico.

A proposito di Corea del Nord. Trump ha bombardato la Siria due giorni dopo aver detto che bombarderà Pyongyang se non cesserà i test missilistici in Asia. Ha ordinato l’attacco poco prima di accogliere a cena il premier cinese Xi Jinping, cioè il silenzioso protettore dello stato-canaglia che armeggia per procura con giocattoli pericolosi, cinquant’anni dopo Cuba.