Le terribili notizie che giungono dalla Siria (non è una novità, accade ormai da ben sei anni) e che giustamente ci scandalizzano, ottengono però un effetto ben preciso. Non capire quello che davvero succede in questo martoriato paese. Di fatto, come spiega al sussidiario Carlo Jean, in Siria si sta giocando una partita di livello mondiale che, dietro interventi spacciati come umanitari o di aiuti alla popolazione, nasconde invece interessi ben precisi di nazioni che stanno disegnando una nuova mappa geopolitica del mondo. La recentissima giravolta di Trump, rispetto alle sue promesse elettorali e alle parole del suo segretario di Stato qualche giorno fa, ad esempio, dice di una situazione in continuo divenire in cui nessuno risparmia colpi bassi: Turchia, Usa, Russia, paesi arabi e infine anche Cina. La posta in gioco? La nuova leadership mondiale.



Quanto accaduto nei giorni scorsi, la strage con armi chimiche, segna uno spartiacque nello scenario siriano? Sembrava che, con gli accordi di pace raggiunti, si fosse arrivato a un accordo condiviso sulla Siria.

Lo spartiacque vero è l’improvviso voltafaccia di Trump alle sue promesse elettorali, che sta comportando un riavvicinamento degli Usa alla Turchia e che è parallelo anche al riavvicinamento all’Egitto.



In concreto, cosa comporta tutto questo?

Gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere le grandi nazioni del blocco sunnita, cosa vogliano fare concretamente è un punto interrogativo. Potrebbero mandare truppe in Turchia, una divisione di marines potrebbe essere lì nel giro di una settimana. Certamente un intervento militare sarebbe un rovesciamento della politica di Trump nei confronti della Russia.

Ricordiamo cosa diceva Trump durante la campagna elettorale.

Trump voleva la Russia alleata per un motivo molto semplice: schierarsi insieme contro la Cina, che è vista come il grande nemico, il paese oggi in grado di prendere la leadership mondiale. Adesso cambiano le carte in tavola. I russi si trovano in grosse difficoltà anche per un motivo economico, non hanno i mezzi per competere con la corsa al riarmo degli americani o sostenere un intervento militare in Medio oriente. Insomma, Trump cerca di sfangarsela da solo per non avere debiti con Putin, si direbbe.



Che prospettive immagina?

Lo sapremo solo dopo l’incontro che ci sarà tra Trump e Xi Jinping.

La provincia di Idlib dove è avvenuta la strage con i gas è l’ultimo territorio rimasto in mano agli insorti?

In realtà la situazione militare rimane sempre fluida. Gli insorti avevano ripreso Homs e l’esercito siriano l’ha riconquistata nuovamente. Teniamo conto che gli Alauiti, di cui fa parte Assad, costituiscono il 10 per cento della popolazione siriana, i sunniti arabi invece, senza tenere conto dei sunniti curdi, sono il 65 per cento. Di conseguenza a lungo andare hanno la possibilità di dar vita a una guerra di tipo territoriale basata sulla guerriglia e il terrorismo. Il governo di Assad non ha gli effettivi militari per poter vincere e controllare poi il territorio. Anche come truppe di terra cerca di salvaguardarle il più possibile. Questo potrebbe spiegare il ricorso delle armi chimiche per mostrare il muso duro agli insorti: guardate che io non mollerò mai.

La Turchia confina con la provincia di Idlib e ha sempre mostrato di avere mire sul territorio siriano, specie quello dove si trovano i suoi grandi nemici curdi. E’ così?

Sulla Siria non ha mire di conquiste territoriali, lo scopo di Ankara è poter disporre di influenza sui gruppi sunniti per poi rafforzare la sua posizione come potenza importante del blocco sunnita anti-iraniano.

Colpisce che in queste ore, dopo un silenzio di anni, sia scesa in campo Israele, accusando apertamente Assad della strage.

Gli israeliani hanno interesse che gli Usa intervengano in Siria oltre che in Iraq come già fanno. Gli Usa saranno sempre legati a doppia mandata con Israele. A Israele interessa che l’America nel dopo Assad, perché prima o poi se ne dovrà andare, abbia una forte influenza sulla nuova Siria. 

Cosa sarà la nuova Siria? Una confederazione, un paese fondamentalista retto dai sunniti, un protettorato della Turchia e dell’Arabia Saudita?

L’opposizione sunnita era legata alla Fratellanza musulmana più che ai Salafiti, ma come si sia evoluta la situazione religiosa non lo sappiamo. La Siria rimane uno stato più legato alla Fratellanza che non al Salafismo così come la Turchia. Per quanto riguarda quei paesi che avevano costituito una specie di Nato sunnita, l’Arabia, il Pakistan, diversi emirati del Golfo, e a cui non aderiscono Egitto e Turchia, non avranno mai una capacità strategica e politica decisiva, esistono troppe gelosie e differenze fra di loro.