È molto difficile pensare che dalla vittoria di Emmanuel Macron in Francia possa scaturire una stabilizzazione dell’orizzonte europeo. L’Europa soffre della tipica malattia del funzionalismo istituzionale, ossia di quella strategia di costruzione delle politiche pubbliche e di mercato che lascia intatta la struttura storico-nazionale degli stati, ma nel contempo sovrappone a essi una tecnostruttura frutto di accordi governativi. Una tecnostruttura mista, ossia formata sia da politici che da tecnici puri, che via via sovrappone agli stati deliberazioni che essa stessa produce e che via via impone agli stati medesimi sottostanti, sottraendo sovranità senza renderlo esplicito. 



Non si crea così né il federalismo, né si lascia intatto lo Stato-nazione: si oscilla tra questi due costrutti istituzionali e via via se ne crea uno nuovo che però è continuamente instabile perché i sottostanti stati nazionali sono ancora dominati dai parlamenti che li legittimano e non possono fare a meno della conflittuale agorà della società politica. 



Macron ha vinto dispiegandosi, dietro di lui e con lui, l’impressionante forza dello Stato francese che gli ha spazzato via l’avversario più credibile con il Penelope-gate, ha fatto scomparire ogni minaccia di indagine finanziaria nei suoi confronti, ha spezzato il pane della propaganda e ha così sconfitto una Le Pen ormai avvoltolata nella collera, nel suo operaismo e nel suo ruralismo, consegnandola alla sconfitta. 

Ora Macron, si dice, apre il fronte tedesco. Ma in realtà non può farlo, per la stessa ragione per cui la Merkel non può concedergli nulla: a distanza ravvicinata si vota sia in Francia che in Germania, e tanto Macron quanto la Merkel devono conquistare non i voti delle tecnostrutture miste, ma dei parlamenti nazionali, e quindi non possono dare concessioni a nessuno. È una sorta di dilemma del prigioniero, e nel dilemma del prigioniero la miglior cosa da fare è non muoversi. 



Non è un caso che sia la stella cadente di Hollande a posarsi sulla cancelleria tedesca: non è certo Macron che può andare a trovare la Merkel: perderebbe un sacco di voti. I tedeschi invece non mandano stelle, ma il capo dei loro messaggeri, il presidente Juncker, che ha appena proclamato che i francesi devono fare i conti, devono fare i bravi, non devono alzare la cresta. Non so come si possa sostenere, in modo fondato, che la vittoria di Macron rafforzi l’Europa. A me pare che rafforzi lo Stato francese e non tanto l’Europa e se c’è qualcosa che queste elezioni dimostrano è che si sta creando un grave distacco tra lo Stato francese e la nazione francese. L’Identitè de la France è cosa complessa, e di De Gaulle non mi pare che ve ne siano all’orizzonte.