C’è chi, ma non è la prima volta, invoca le ombre del Watergate, e chi dice che con il licenziamento del direttore dell’Fbi, James Comey, il Russiagate sarà abbandonato. Per Andrews Spannaus, giornalista, politologo, autore del libro “Perché vince Trump” (2016) non è così, semplicemente perché “il Russiagate è una pura manovra politica senza alcun fondamento di tipo penale, non esiste neanche una formulazione di capi di accusa nei confronti di Trump”. Il presidente dunque, continua Spannaus, ha avuto le sue ragioni per fare quello che ha fatto, purtroppo “si muove in modo maldestro con atteggiamenti anticostituzionali e mancanza di autocontrollo”. Una cosa è certa: lo scontro tra Trump e l’establishment è sempre più infuocato “con le agenzie di intelligence che cercano di affossarlo”.
Ci può dire brevemente chi è James Comey? Durante la campagna elettorale ha sollevato il caso delle mail della Clinton, adesso indagava sul Russiagate, sembrerebbe un personaggio al di sopra dei partiti. E’ così?
In parte. E’ una persona che nella sua carriera si è guadagnata rispetto. Già durante la presidenza Bush aveva espresso forte opposizione nei confronti di certe misure anti-costituzionali. Lo scorso anno il suo intervento sul caso delle mail di Hillary Clinton è stato criticato sia dai democratici che dai repubblicani e soprattutto il suo modo di attirare attenzione su di sé non piace molto, un fattore questo che a Trump ha dato fastidio soprattutto nelle ultime settimane. Sicuramente non è uno che prende ordine dai presidenti, coerentemente con il suo giuramento che è di fedeltà alla sola Costituzione. Tuttavia è un personaggio che viene dalla precedente amministrazione, non è stato scelto da Trump e questo ha delle implicazioni.
I suoi uomini hanno reagito con forte disappunto al licenziamento, tanto che Trump ha dovuto annullare la visita prevista all’Fbi.
Il modo di intervenire di Trump è stato maldestro, questo ha creato contrarietà nell’Fbi e nelle istituzioni. Questo però non deve oscurare il fatto che Trump qualche motivo per sospettare dell’attività sul Russiangate ce l’ha.
Ad esempio? In Italia si dice che senza Comey il Russiagate è a rischio.
Trump sa che il Russiagate è una indagine strumentale e su questo ha ragione. Non c’è alcuna prova, non si è neanche ipotizzato alcun crimine, è solo una indagine di tipo politico, è una caccia alle streghe sulla base del teorema vecchio di decenni che parlare con i russi equivale a tradire l’America.
Un teorema da tempi della Guerra fredda…
E’ in atto una guerra politica sulla direzione della politica estera americana. Questo non dà diritto a Trump di comportarsi senza rispetto per le istituzioni, d’altra parte fa capire che quello che abbiamo visto con Flynn e altri casi di clamorosi licenziamenti, riflette una battaglia interna in cui le agenzie di intelligence lavorano per ostacolare Trump il più possibile.
Con il bombardamento sulla Siria Trump però ha fatto vedere un cambio di atteggiamento verso la Russia. E’ stata un’azione strumentale?
Il bombardamento sulla Siria è stato fatto proprio per cercare una conciliazione sulla questione russa, dimostrare cioè che Trump non è controllato da Putin. Tuttavia Trump ha dichiarato che questo non rappresenta un cambiamento di rotta significativo, si cerca ancora una cooperazione con Mosca. Ha bombardato cercando di gestire la situazione, dare cioè un colpo al cerchio e uno alla botte e questo spiega perché a Washington la gioia bipartisan per il bombardamento è durata poco.
Dopo questo licenziamento, cosa succederà?
Ci sarà uno scontro, più probabile di quanto lo fosse tre giorni fa. Trump si muove in modo goffo, non è bravo a nascondere le motivazioni, anche quando sono legittime. Il clima alla Casa Bianca è difficile.
Questi avvenimenti influenzano in qualche modo l’opinione pubblica?
Ne viene influenzata, certo non come succederebbe in Italia. Quella che muove le acque è la stampa mainstream, che non gode di molta credibilità. Chi è contro Trump, probabilmente la maggioranza degli americani, ne sarà influenzato in modo ancor più negativo verso il presidente e influenzerà anche qualcuno degli indecisi, mentre chi è per lui vede tutto questo come un attacco nei suoi confronti.
E’ dunque un’America ancora spaccata in due come durante la campagna elettorale?
Grosso modo sì, ma con la differenza che non ci sono le elezioni in cui si manifesta la propria opinione diretta. Questo è uno scontro politico in cui è più facile mettere in difficoltà Trump.
Perché?
Perché non si va a votare, a esprimere quel voto di protesta che lo ha fatto vincere, e perché Trump non ha l’esperienza politica e l’autocontrollo per evitare di fare errori.
(Paolo Vites)