Nello stesso momento in cui a Pechino si svolgeva il summit in cui Xi Jinping svelava al mondo gli investimenti che la Cina intende fare sulla nuova “Via della seta”, Kim Jong-un lanciava quello che secondo gli esperti è il più potente missile fino ad ora messo a punto da Pyongyang. In uno scenario surreale, come racconta Angelo Aquaro, corrispondente dalla Cina di Repubblica, al summit si trovavano seduti fianco a fianco il delegato nordcoreano Kim Yong Jae e l’inviato americano Matt Pottinger. Prove del famoso dialogo annunciato da Donald Trump e ritenuto possibile da Kim Jong-un? Ma come si spiega il lancio del missile? Per Aquaro “ci sono due tipi di previsioni che non andrebbero mai fatte e sono quelle sulla Cina e quelle sulla Nord Corea a cui oggi, data la sua imprevedibilità, va aggiunto Donald Trump”.



Aquaro, dialogo sì o no? A che gioco sta giocando Kim Jong-un?

Va detto che il dialogo tra Usa e Corea del Nord c’è sempre stato, un dialogo ovviamente sotto traccia, non ufficiale perché gli Usa non riconoscono lo stato di Pyongyang, anche perché la guerra è finita con un armistizio e non con una pace firmata da tutti i combattenti. Non essendoci dunque gli strumenti tecnici ufficiali, ci si parla dietro le quinte.



Oggi però siamo davanti a una situazione esplosiva, ci sarà anche un dialogo nascosto ma si lanciano missili sempre più potenti. Che succede?

Come ha detto Trump poco tempo fa, Kim Jong-un non è il pazzoide che la stampa occidentale ama dipingere. E’ lucido e intelligente e soprattutto non è solo, ha un sistema di potere che lo sorregge e lavora con lui, un sistema di cui ovviamente il leader è lui medesimo.

Quindi?

L’obbiettivo di Kim Jong-un è la sopravvivenza del regime e dello stato. Loro sono convinti che il modo migliore è far paura, in modo da costringere gli americani a lasciare la penisola e riconoscere la Corea del Nord come uno stato a tutti gli effetti.



Con il recente riavvicinamento tra Washington e Pechino, non è che Kim Jong-un si sente tradito dal suo storico alleato, la Cina? 

La dinastia dei Kim ha sempre avuto un rapporto non proprio felicissimo con Pechino, nonostante i cinesi siano stati determinanti perché senza i soldati di Mao la guerra non sarebbe finita come è finita. Kim Jong-un in cinque anni di potere non è mai stato una volta sola a Pechino, a differenza del padre e del nonno. Non ha mai riverito il Dragone, non c’è mai stato contatto diretto tra Xi Jinping e lui. Questo dà l’idea del rapporto conflittuale che c’è fra i due paesi.

Ma quale ruolo gioca Pechino nell’attuale crisi?

La Corea del Nord storicamente ha sempre cercato di scartare Pechino e parlare direttamente con gli Usa. Dietro l’accelerazione del programma nucleare c’è proprio questo, il tentativo di aprire un canale diretto con gli Usa per il riconoscimento. Cosa che però è molto difficile senza l’intermediazione di Pechino.

Fino a poche settimane fa tutti parlavano di Terza guerra mondiale alle porte. Questa guerra si sta avvicinando o si sta allontanando?

Ci sono due tipi di previsioni che non andrebbero mai fatte e sono quelle sulla Cina e quelle sulla Nord Corea. Quante volte si è detto che la Cina sarebbe diventata come la vecchia Urss e invece ha avuto la capacità di rinnovarsi? Lo stesso vale per la Corea del Nord: si diceva che sarebbe crollata per via della fame e della povertà e invece scopriamo che hanno usato il missile più pericoloso che hanno. Fare previsioni è impossibile, qualsiasi incidente protrebbe provocare una guerra mondiale.

Ma una sua previsione?

Una guerra mondiale non la vuole nessuno oggi. La Seconda guerra mondiale è scoppiata perché c’era qualcuno, Hitler, che la voleva. Non vedo la presenza di qualcuno che oggi voglia la guerra.

Oltre Cina e Nord Corea però, oggi abbiamo un elemento di imprevedibilità in più, e cioè Trump: il giorno prima diceva che non avrebbe messo becco in Siria, e poi ha lanciato i missili.

Ha ragione, qualche giorno fa ho intervistato un professore americano che vive a Seul il quale mi ha detto una cosa indicativa: “Vivo in un paese dove da vent’anni mi confronto con le incognite della Corea del Nord, e adesso per la prima volta l’incognita è rappresentata dal mio paese, l’America”. Chiediamoci cosa vuole fare Trump, non Kim Jong-un.

(Paolo Vites)