Fino a pochi anni fa il Brasile era visto come una potenza emergente e il faro dell’economia latinoamericana, ma purtroppo lo scandalo denominato “Lava-Jato” (tradotto lavaggio di automobili) scoppiato per caso, come sempre capita (ricordiamo che il nostro Mani Pulite vide la luce nel cimitero milanese di Musocco) ha causato non solo un vuoto politico che pare incolmabile (è abbastanza probabile che nuove elezioni, seppur richieste a gran voce dalla gente, non possano risolvere nulla), ma anche generato una crisi economica di grandi proporzioni, dimostrando come spesso certi boom (ricordiamoci quello della Grecia) nascondano situazioni molto diverse dalla realtà.
Appunto come in Grecia, le Olimpiadi hanno messo in risalto la realtà di un Paese che aveva ciecamente creduto in un processo di crescita avviato dall’ex sindacalista Lula da Silva (che negli anni ottanta era specializzato in perdere elezioni). Una volta arrivato al potere Lula ha iniziato a mediare tra un cambiamento populista (peraltro non realizzabile totalmente, vista la divisione politica che ha sempre regnato nel Paese) con istituzioni liberali, fatto che aveva messo in marcia un’economia aiutata dalla scoperta di immensi giacimenti petroliferi. In pochi anni, con tassi di crescita cinesi e la più alta percentuale di immissione delle classi povere nella classe media, il Brasile ha vissuto un boom davvero invidiabile, tanto da entrare nel gruppo delle nuove potenze economiche mondiali (il famoso Bric, che include Russia, India e Cina). Si è respirata un’aria di benessere che ha generato posti di lavoro come mai si era visto, arrivando fino a essere Paese creditore nei riguardi del debito Usa, poi l’elezione della compagna di partito Dilma Rousseff nel 2011 ha cambiato le carte in tavola, perché?
Considerando che sia Lula che il suo successore sono immersi fino al collo nello scandalo attuale c’è da pensare che quest’ultimo abbia costituito solo il classico coperchio sollevato il quale sia emerso tutto. La rielezione di Rousseff nel 2014, che superò di poco il candidato socialdemocratico Alicjo Neves (che a sua volta aveva vinto il ballottaggio interno su Marina Silva, candidata venuta dalle favelas a simbolo dell’inclusione attuata in Brasile in questi anni), ha in pratica trasformato il progetto di Lula in uno estremamente statalista e protezionista del partito al potere (Partido do Trabalhadores- Partito dei lavoratori). Ciò è stato possibile perché l’esiguo margine che ha permesso la vittoria della delfina di Lula è stato ottenuto nel Nord del Paese, la sua parte più povera, che temeva la fine dei sussidi. Il piano degli avversari politici prometteva difatti uno Stato meno egemone sull’economia e una razionalizzazione degli aiuti alla povertà mirante alla creazione di posti di lavoro.
Il grosso errore di Rousseff è stato proprio in questo: le ingentissime somme investite per alimentare uno statalismo soffocante hanno in pratica immesso il Paese in una crisi profonda che è aumentata con l’avvicinarsi dell’inizio di quelle Olimpiadi che dovevano costituire il rilancio del Brasile e la sua immagine di potenza mondiale. Ricordiamo tutti che in molti Stati per poter saldare i costi dei Giochi olimpici non sono state pagate le pensioni, data la penuria di risorse. Poi è arrivato il “Lava-Jato” a far deflagrare tutto: iniziato nel 2014 con la scoperta dell’uso di fatturazioni false in alcuni servizi di lavaggio auto, la bolla si è estesa anche per il grosso lavoro di una magistratura indipendente che, approfittando della legge sugli sconti di pena ai collaboratori (copiata da Mani Pulite), ha permesso lo scoppio di uno scandalo di corruzione per cifre altissime e che ha coinvolto, purtroppo, non solo la passata conduzione, ma anche l’attuale che era subentrata all’impeachment che aveva costretto Rousseff alle dimissioni.
Tangenti altissime pagate da intermediari agli ultimi tre Presidenti dall’impresa petrolifera Petrobras e il frigorifico Jbs. Lula, Temer e Rousseff, uniti da questo scandalo che probabilmente lascerà ancora una volta il Brasile senza una guida e con la necessità di elezioni. La gente ormai, abituata a certi livelli di vita, non è disposta a ritornare ad affrontare una crisi e ha capito che bisogna lottare contro la corruzione, indicendo manifestazioni in tutto il Paese, questa volta con l’obiettivo delle dimissioni di Michel Temer. Ma tutta la questione avrebbe un ben altro peso se le casse dello Stato fossero a posto: invece il Brasile paga adesso la scelta sbagliata di Lula che, lasciando la Presidenza, decise di passarla alla sua “delfina” Rousseff. Che ha accentuato in maniera possente il populismo, arrivando a uno Stato iper-assistenziale che, alla fine, non ha più fondi: dimostrando con questo l’esattezza di un aforismo caro a Montanelli che diceva di come “Il populismo ama tanto i poveri che li moltiplica”. E purtroppo il futuro del Brasile sarà quello di un Paese che, per tornare a progredire, dovrà prendere drastiche decisioni.