Il viaggio europeo di Donald Trump avrà un suo appuntamento decisivo, unitamente all’incontro con Sua Santità Papa Francesco, con Jens Stoltenberg Segretario della Nato e impegnato da tempo in una defatigante mediazione tra gli alleati europei e l’impetuoso Presidente Usa. La questione è nota: già Obama la pose nel contesto di quella sua strategia di regime vassallatico su scala mondiale, che interpretava il relativo declino Usa nell’attivazione di un sistema di deleghe dell’esercizio dell’egemonia e del dominio insieme che doveva essere esercitato non più direttamente dagli Usa, ma da un leader regionale scelto dalla burocrazia imperiale centrale. Naturalmente il delegato vassallo doveva contribuire alle spese dell’esportazione di sicurezza con forze sue proprie, traendone certo vantaggi sul piano del domino, ma pagando bene dei costi in termini propriamente economici.



Durante il colloquio tra Trump e la Merkel a Washington i toni s’erano fatti imperiosi da parte nordamericana. Che cosa chiedono gli Usa alla Germania, sia Obama che Trump e qualsivoglia altro Presidente nordamericano? Chiedono che la Germania si faccia parte dirigente, ossia esca dalle sue ristrette visoni di domino regionale e aspiri a essere potenza mondiale. Potenza mondiale nel contesto di un’alleanza e non stand alone, così da non spaventare i suoi storici avversari europei e nel contempo svolgere quel ruolo di “antemurale cordiale” con la Russia. Ossia intransigente dal punto di vista dei valori democratici, ma storicamente congeniale nella sua apertura all’integrazione commerciale.



Il campo di prova secondo gli Usa, ripeto quale che siano gli schieramenti politici in campo, è il ruolo da svolgersi nella Nato. In primis sul piano delle risorse e dopo e solo dopo sul piano della condivisione strategica: guai a ripetere l’esempio del disimpegno francese ideato da De Gaulle e ancora posto in atto in forme sempre meno dirette, ma pur persistenti dalla Francia, Macron compreso.

Trump non ha scelta, deve rinnegare le frasi dette con troppa ingenuità sulla Nato e riconoscere che il rapporto con la Germania e tutta la Nato diviene essenziale per affrontare il cambio di passo che si prepara con la sua presidenza. Un cambio di passo che è iniziato ben prima della sua elezione e che contrassegna il tempo futuro. Un futuro che sa di ritorno all’antico, ossia al bipolarismo Usa-Russia in Medio Oriente in Europa. 



Anche qui il nuovo è nuovo perché si presenta sotto altre forme. In Medio Oriente Trump ha compiuto quella scelta che l’affrettato e superficiale accordo con l’Iran non negoziato anzitempo con i sauditi aveva ottenebrato, ossia il fatto che qualsivoglia opera di contenimento del terrorismo e insieme di stabilizzazione dell’area ha bisogno, come in Europa, di una partecipazione attiva delle potenze regionali. E non a caso attorno ai sauditi si sta formando una sorta di Nato mediorientale, a direzione saudita nonostante la riluttanza degli hashemiti (i giordani, infatti, educati dalle accademie militari britanniche, non dimenticano la ferita degli anni Venti, quando i garanti di una monarchia sacra furono cacciati dalla Mecca dalle orde wahabite a vantaggio delle famiglie saudite).

Una strada impervia per i contrasti interstatuali che si scateneranno tra le famiglie arabe e i loro concreti processi di istituzionalizzazione statale. Il ruolo dell’Egitto, inoltre, sarà determinante ed è già chiaro sin da adesso che i conflitti con i sauditi saranno frequenti perché sono iscritti nella storia ben prima del dominio ottomano. Così quelli con la Giordania per le vicende storiche prima richiamate. Gli eserciti della regione inoltre hanno ormai una loro storia e una loro tradizione che il crollo del domino sovietico e l’emergere di quello nordamericano hanno tramescolato ma di fatto aiutato a emergere con sempre più marcata evidenza: in assenza di società civile sono i militari che intessono l’ordito di una storia nazionale.

In Europa la storia nazionale è millenaria ed è la quintessenza della rotta che può prendere una Nato che sappia articolare il suo impegno anche fuori dai confini europei per affrontare le nuove sfide di una globalizzazione del terrorismo che impone a tutti di cambiar passo. Per questo la visita di Trump dovrebbe svolgere due obiettivi di fatto fondamentali: riscrivere non la storia ma il ruolo della Germania donando a essa un nuovo compito di leader non solo regionale e nel contempo ridefinire i confini di azione della Nato anche su fronti non europei.

È un compito che impone molte nuove sfide. La più grande è quella che promana dall’interrogativo seguente: si può con l’ordoliberalismus come dottrina, divenire con la Francia in posizione naturalmente vassallatica, il centro carolingio dell’Europa? E ancora può l’Europa con le sue forze armate ritornare ad avere anche se eccezionalmente un ruolo mondiale sui fronti di una guerra sempre più inevitabile? E infine: che ruolo avrà il rapporto dell’Occidente con la Cina in questa trasformazione?