Il Summit della Nato a Bruxelles è stato un evento profondamente significativo sotto diversi punti di vista.
L’importanza dell’incontro è stata percepibile fin dal momento del nostro arrivo, complice la scelta della location: la nuova e imponente sede dell’Alleanza Atlantica, che è stata appositamente inaugurata per l’occasione. Si tratta di una grande struttura ottimamente organizzata e tecnologicamente all’avanguardia, simbolo di un rilancio significativo dell’Alleanza e del suo impegno in continua evoluzione ed al passo con i tempi. Dopo i dubbi sollevati dalla nuova amministrazione americana, la principale necessità della Nato era infatti quella di riaffermare la sua forte integrità ed il suo valore politico. La partecipazione di Trump è stata certamente un elemento fondamentale in questo senso, così come le sue parole sull’importanza dell’Alleanza in ottica futura, soprattutto per le questioni inerenti al contrasto al terrorismo e alla gestione dei flussi migratori.
In questo frangente storico la Nato aveva bisogno di dimostrare di non essere obsoleta, palesando la sua efficienza in risposta alle sempre nuove sfide, ibride e non, che minacciano il sistema internazionale. Come sottolineato dal segretario generale Jens Stoltenberg, l’Alleanza è una sinergia di valori, prima che di interessi, e deve sapersi adattare a tali sfide. Complice il recente e tragico attacco di Manchester, il terrorismo di matrice jihadista è stato ancora una volta riconosciuto come la più chiara e preoccupante minaccia odierna, ed è proprio in questa direzione che la Nato ha deciso di muoversi. La decisione di supportare la coalizione anti-Isis, pur evitando un coinvolgimento militare in senso stretto, ne è la prova. Il terrorismo va combattuto “in ogni sua forma”, contribuendo al supporto logistico, con addestramenti congiunti, condivisione di informazioni e know-how. Risulta insomma indispensabile un sempre maggior coordinamento tra le forze alleate.
Ulteriore punto focale del summit è stata la discussione sul burden sharing — la condivisone dei costi per il mantenimento dell’Alleanza — con particolare attenzione riguardo al parametro del 2 per cento del Pil che ogni paese deve destinare alle spese per la difesa, come concordato al summit del Galles del 2014. Argomento tanto caro al presidente Trump, che più volte ha citato la questione, è in realtà importante e comunemente approvato da tutti gli Stati membri. Non si può infatti ipotizzare di rafforzare il sistema di sicurezza comune, a maggior ragione in ambito di counter-terrorism, senza un concreto e crescente contributo da parte dei paesi coinvolti. I membri della Nato ne sono consapevoli e l’attentato di Manchester ha costituito un ulteriore elemento di riflessione positiva rispetto all’assoluta necessità di rafforzare il sistema di difesa collettiva.
In tal senso la recente ratifica dell’adesione del Montenegro all’Alleanza rappresenta un’ulteriore prova di questa politica della “porta aperta” della Nato, che rimane sempre disponibile a sostenere coloro i quali siano intenzionati a tutelare e difendere il proprio assetto valoriale democratico.
Il clima che ho percepito nel corso della giornata, inoltre, ha evidenziato una positiva dinamica di relazione tra i diversi leader presenti. A tale proposito ritengo che, soprattutto in queste occasioni, la cordialità non sia un atteggiamento facilmente simulabile e questa convinzione rafforza il mio auspicio che risultati proficui siano realmente possibili nel prossimo futuro.
Il summit, dunque, ha rappresentato un’occasione essenziale per dimostrare l’impegno della Nato e la sua capacità di dialogare, confrontarsi ed innovarsi. Il dato politico più significativo emerso dall’incontro è certamente la conferma della solidità dell’Alleanza transatlantica e la constatazione che questa ha saputo e sa adattarsi alle sfide che provengono da scenari diversi ed in continua evoluzione.