Mentre a Taormina i grandi del G7 denunciavano per l’ennesima volta la corsa al nucleare di Pyongyang chiedendo alla Corea del Nord di fermarsi, Kim Jong-un, dimostrando quanto sia interessato alle loro parole, lanciava il terzo missile nel giro di circa un mese. Un missile ancora una volta diverso dai precedenti, segno di una corsa ormai sempre più rapida della Nord Corea ad armi sempre più distruttive. Secondo Francesco Sisci siamo ormai arrivati a quello che Pyongyang aveva in mente: il riconoscimento del suo status di potenza nucleare in cambio della rinuncia ad attività belliche. Ma questo significherebbe, spiega Sisci, una escaltaion nucelare globale dai risultati drammatici.



Un nuovo missile, con una gittata di mille chilometri, in grado cioè di colpire le portaerei americane nel Mar del Giappone. Pyongyang sviluppa armi sempre più potenti…

In realtà la pericolosità di quest’ultimo test non è tanto la gittata, quanto il fatto che è su rampa mobile e a combustibile solido, il che significa che può essere sparato da un sito imprevedibile in un tempo molto breve. Il combustibile solido fa parte del missile stesso e quindi non deve essere caricato di carburante per ore.



Quindi non si saprebbe quando viene lanciato?

Non solo: significa che diventa molto difficile intercettarlo dopo che è stato lanciato. E’ questo il salto di qualità di questo nuovo missile. Per l’America, anche se fosse a maggiore gittata, sarebbe pericoloso ma non mortale, ma con un bersaglio a distanza ridotta, come la Corea del Sud o il Giappone, diventa quasi impossibile o molto difficile pensare di intercettarlo. 

Mosca questa volta ha fatto la voce grossa con Pyongyang, come mai secondo lei?

In realtà la denuncia più forte l’ha fatta il Giappone, che ha chiesto all’America di intervenire rapidamente. Infatti colpire l’America è qualcosa di ancora distante, sia politicamente che militarmente; ma tecnicamente colpire il Giappone è molto più facile. A questo punto ci sono due scenari estremamente pericolosi che si profilano.



Quali?

Il primo è che l’America oggi ha meno di un anno di tempo per intervenire con le armi, perché in questo arco di tempo la Corea del Nord sarà in grado di sviluppare missili balistici a combustibile solido, a gittata tale da colpire l’America e compatibili con testate nucleari. L’America ovviamente non può permettersi un nuovo 11 settembre. Deve intervenire. E’ cominciato un countdown.

Il secondo scenario?

Finora non c’è nessuna forma di disincentivo per convincere Pyongyang a ritirare gli armamenti, l’unica prospettiva è riconoscerne la potenza nucleare. Se così fosse, rinunceremmo a un pericolo per i prossimi dodici mesi, ma per il futuro il pericolo sarebbe moltiplicato.

Cioè?

Se la Corea del Nord ha l’arma nucleare, il Giappone deve immediatamente fare lo stesso. E così dovrebbero fare anche la Corea del Sud e il Vietnam. Assisteremmo a una moltiplicazione nucleare nella regione con un aumento in maniera esponenziale del rischio deflagrazione.

Può essere che questo nuovo missile sia stato lanciato come un messaggio al G7?

Alla Corea del Nord del G7 non interessa. Pyongyang è avvitata su se stessa in una logica paranoica e cerca di alzare la posta. Sente che si stanno allargando le maglie di un suo riconoscimento come potenza nucleare. Più è avanti il suo programma nucleare, più è difficile attaccarla. Ma se domani si riconoscesse una Corea del Nord nucleare, si scatenerebbe una corsa al riarmo in tutta l’Asia, non solo: seguirebbero anche l’Iran e l’Arabia Saudita. Una escalation a livello globale folle. Manca una strategia complessiva che non sia solo l’intervento militare, per gestire sia la Corea sia il vero convitato di pietra, cioè la Cina, accusata da molti americani di avere un atteggiamento ambiguo.

A che punto siamo nei rapporti Usa-Cina?

La crescita dell’Asia è il vero problema strategico di questo secolo. L’Asia è il 60 per cento della popolazione mondiale che produce l’80 per cento della crescita economica, questa tendenza non va a diminuire. In questa prospettiva l’America ha bisogno di una nuova grande strategia dove ci sia un’Europa unita forte e legata agli Usa. Il problema non è lo scontro Merkel-Trump, il problema vero nei prossimi vent’anni è cosa farà l’occidente rispetto a questo nuovissimo mondo asiatico. Se non trova una strategia comune siamo già battuti.