Nel giorno in cui l’Ong Moas davanti alla Commissione difesa del Senato e al comitato Schengen respinge tutte le accuse di complicità con gli scafisti, Corriere e Repubblica omettono la singolare visita del finanziere George Soros a Palazzo Chigi. Il quotidiano di via Solferino però riporta ampi stralci del dossier segreto di Frontex. “Nel 90 per cento dei salvataggi — si legge — eseguiti dalle navi delle Organizzazioni non governative nel 2017, le imbarcazioni coinvolte sono state individuate direttamente dalle Ong e soltanto in seguito è stata data comunicazione al centro operativo della Guardia costiera a Roma”. Il generale Marco Bertolini, già comandante della Folgore e poi alla guida del Coi fino al luglio scorso, ha guidato operazioni speciali italiane in tutti i fronti più caldi, dal Libano alla Somalia all’Afganistan. Non si fa che parlare dell’emergenza sul mare, ricorda Bertolini, ma rischiamo di dimenticare che il vero problema è il vuoto di potere in Libia.
Secondo Frontex, le Ong individuano i gommoni carichi di migranti prima che partano le richieste di aiuto.
Se così fosse, sarebbe più che lecito parlare di un’azione concertata. Da un punto di vista procedurale tutto dovrebbe partire da una segnalazione della nostra Guardia costiera. Il centro operativo che riceve una segnalazione individua sulla base dei trasponder la nave più vicina, qualunque essa sia, militare, civile o mercantile, la indirizza nel punto segnalato e le dice dove portare i migranti.
E invece?
La normalità pare diventata un’eccezione. La questione va approfondita rapidamente, anche perché la situazione solleva un problema sociale di grandi dimensioni del quale non si vede la fine.
Che cosa la preoccupa di più?
Tutti parlano del problema di come sistemare i migranti, nessuno parla di cosa si dovrebbe fare per fermarli. Siamo di fronte ad un flusso continuo che parte in maggioranza da un tratto di costa che è fuori controllo.
Anche fuori dal controllo della vicina Tripoli di Fayez al Serraj?
La costa che va da Tripoli al confine con la Tunisia passando per Sabrata e Zuara è in mano alle milizie armate delle varie tribù, per lo più in guerra le une con le altre. In questa zona l’autorità del governo di Serraj è inesistente: Serraj controlla solo Tripoli, Misurata controlla il proprio tratto di costa, la zona che le ho detto è terra di nessuno. La prima cosa urgente da fare sarebbe quella di mettere i libici in condizione di controllare il territorio. Ma anche così il problema non sarebbe risolto.
Per quale motivo?
Perché se non si controllano le frontiere meridionali non si controlla il paese. Serraj e Haftar governano il 40 per cento della Libia: e il resto? Questo è un problema che solo la Libia, o meglio, i libici possono risolvere.
Ad Abu Dhabi il 2 maggio c’è stato un incontro tra Serraj e Haftar sotto l’ombrello di Egitto e Russia. L’accordo prevede elezioni entro il marzo 2018 e un esercito unificato e non più sotto l’esclusivo controllo del governo libico di unità nazionale. Potrebbe tenere?
Me lo auguro. E’ sicuramente un passo avanti importante, se pensiamo che le due parti si combattevano senza riconoscersi alcuna legittimità, ma non basterà, perché non ci sono solo Serraj e Haftar: c’è il terzo incomodo, Misurata, che fa parte della galassia che si oppone ad Haftar senza essere un alleato fedele di Serraj. A Bengasi ci sono i Fratelli musulmani, che Haftar sta combattendo da tempo. Il caos permane.
E noi?
L’Italia ha operato bene: ha riaperto l’ambasciata, ha messo un ospedale da campo a Misurata, la nostra è una presenza significativa. La Libia però è un problema che non può risolvere l’Italia da sola. E’ vero: non siamo stati noi a crearlo. E’ stato voluto nonostante l’Italia e alle spalle nostre. Ringraziamo la cosiddetta comunità internazionale.
Ma l’Italia dovrebbe o potrebbe fare di più sul suolo libico?
Si è messo in moto un motore che non può essere fermato da un singolo paese. Ci vorrebbe una volontà almeno europea, ma sappiamo che l’Europa è fatta da politiche estere spesso e volentieri le une contro le altre.
Dunque la strada dell’accordo tra le forze maggiori è quella giusta.
Non so se sia la migliore, ma al momento è l’unica. Anche perché se arrivasse una richiesta di intervento sarebbe estremamente difficile da attuare: per controllare un territorio del genere, e intendo solo quello costiero, ci vorrebbero delle forze enormi.
I trafficanti appartengono a qualche bandiera politica?
No. Sono organizzazioni criminali comuni, come lo sono quelle dei pirati somali, che attingono a piene mani ai giacimenti di petrolio vivente che hanno scoperto.
Potrebbero esserci anche forze jihadiste tra loro?
In una situazione del genere è difficile, ma non lo si può escludere.
(Federico Ferraù)