Secondo i sondaggi, questa volta fatti forse con maggiore prudenza e più attenzione del solito, Emmanuel Macron dovrebbe vincere il ballottaggio contro Marine Le Pen nella corsa all’Eliseo. Il “reinventato” personaggio, che supplisce ai disastri di socialisti e gollisti, dovrebbe assicurare la continuità della Francia repubblicana, con una rinnovata, ma migliorata, vocazione europeista. 



Macron dovrebbe diventare il figlio di un establishment francese nuovo, che ha compreso la necessità di un rinnovamento profondo, almeno in apparenza, e Macron lo ha fatto dichiarandosi addirittura “né di destra, né di sinistra”.

Ma intanto viviamo la cronaca. La vigilia elettorale di queste presidenziali è nervosa, inzuppata nel veleno e probabilmente il risultato non sarà definitivo per il futuro assetto politico della Francia, sia nel caso più probabile della vittoria del “nuovo” esponente democratico centrista, sia nel caso di un clamoroso colpo di scena, con Marine Le Pen che dovesse prevalere, portando la destra, quella più profonda, niente meno che all’Eliseo.



Restiamo ai calcoli dei sondaggi. Quasi tutti gli istituti di ricerca danno Macron oltre il 60 per cento, con uno o due punti sopra quella soglia, e attribuiscono alla leader del Front national poco meno del 40 per cento. La ricerca è comunque complicata da tre interrogativi fondamentali. Il primo: quanti saranno i gollisti di François Fillon a disubbidire alle indicazioni del loro partito, mettendo nell’urna la preferenza per la Le Pen e non, come dichiarato, per Macron?

Il secondo: quanti saranno i “ribelli” di Jean Luc Mélenchon, il superstite della tradizione della sinistra radicale francese, addirittura in chiave trozkista, che rifiuta una scelta tra “l’uomo delle banche” e la “fascista”, e invita di fatto all’astensione, sapendo che c’è addirittura chi, tra i suoi, sceglierebbe non il “meno peggio”, ma il “peggio”?



Il terzo interrogativo infine è costituito dal pericolo, vero e proprio, dell’astensione di massa che si potrebbe registrare, come accadde nel 1969, quando andò a votare meno del 70 per cento dei francesi. C’è un risultato inquietante nelle ricerche di opinione e dei sondaggi: un francese su quattro non vuole neppure “turarsi il naso” e non vuole andare a votare, sottraendosi all’obbligo di una scelta tra due candidati di questo tipo, che si sono quasi insultati durante l’ultimo confronto televisivo.

Non c’è quindi dubbio che le  varianti di questa consultazione sono tante e potrebbero riservare sorprese rispetto alle indicazioni di massima rilevate dai sondaggi. 

Intorno a questa incertezza, c’è inevitabilmente la temperatura del clima politico che, al momento, e a meno di una chiara affermazione di Macron, è ed è destinata a surriscaldarsi ulteriormente. A Parigi si vota Macron, ma nella Francia del sud e nel nord-est operaio si vota Le Pen. Come si ricomporrà questa frattura?

A Parigi e in altre città francesi si contesta la leader del Front national. Ma anche il giovane di “En marche” ha i suoi oppositori urlanti e viene definito dagli stessi studenti parigini di sinistra “l’uomo del sistema”, colui che non comprende la profondità della crisi creata con la globalizzazione, la politica dell’Europa e il liberismo di cui Macron è indubbiamente un alfiere.

In un sistema semi-presidenziale come la Francia, occorrerà poi vedere che cosa accadrà nelle elezioni di giugno, alle legislative. Sembra quasi scontato che occorrerà una “coabitazione” di maggioranza, come dicono i francesi. In altri termini sarà necessaria una “grande coalizione” per governare con un minimo di tranquillità. Ma questo è il primo colpo allo spirito che fu creato con la “quinta repubblica”.

Lo schema che sembra oggi prevalere in questa vigilia incandescente è quello di un Macron all’Eliseo e di un Fillon a Palais Matignon, sede del primo ministro, e magari qualche dicastero ai superstiti socialisti di Benoît Hamon. E’ evidente che in caso di vittoria di Marine Le Pen, non è ipotizzabile una maggioranza funzionale.

In definitiva, da questo sguardo d’insieme, dall’incertezza e dalle varianti sul tappeto, si può dire che queste elezioni presidenziali possono segnare una svolta epocale per la Francia e per l’Europa. Possono emergere tutte le contraddizioni di cui soffre l’Europa e anche la stessa democrazia rappresentativa del vecchio continente. Anche una sconfitta di Marine Le Pen, non nei termini delineati dai sondaggi, ma con la leader del Front national che superasse il 40 per cento, sarebbe un colpo alla credibilità della Francia e dell’Europa intera.

In sostanza, si può dire che c’è già aria di incertezza e di una sorta di problematica “resa dei conti” difficile da ricomporre in futuro. La vittoria di Macron può dare senz’altro una boccata d’ossigeno all’establishment francese e può tranquillizzare un’Europa che in Francia, e non solo, è molto contestata. Ma Macron deve vincere in modo convincente per ricreare un clima politico accettabile, per comporre una frattura che si vede chiaramente nella società francese. Il solo fatto di essere arrivati a un appuntamento di questo tipo, con questa apprensione e questa paura, nel Paese del laicismo, della “grande rivoluzione” e delle grandi svolte politiche, è come ammettere che si è già di fronte a una “mezza sconfitta” generale, che può annunciare nuovi e altri appuntamenti incandescenti.