Emmanuel Macron, non ancora quarantenne, è il nuovo presidente della Francia. Nel ballottaggio contro Marine Le Pen, Macron ha vinto chiaramente, in modo convincente, con un 66 per cento, che rappresenta il secondo risultato più alto nelle presidenziali francesi, dopo quello ottenuto da Jacques Chirac nel 2002 contro Jean-Marie Le Pen. 



L’attuale leader del Front national surclassa, raddoppia il risultato del padre, raggiungendo quasi il 35 per cento, ma dimostra che nemmeno la Francia “profonda”, quella che non si allinea alla globalizzazione, che contesta aspramente la politica europea, può ricreare il fantasma di Vichy o una riedizione, anche se in chiave diversa, del fascismo nella nuova versione che viene definita impropriamente e schematicamente “populista”, soprattutto nel giorno che è la vigilia (il 7 maggio) della giornata (oggi 8 maggio) della sconfitta storica del nazismo e della vittoria degli alleati nell’ultima guerra mondiale.



Secondo molti osservatori, Emmanuel Macron è un “enfant prodige”, discepolo prediletto del grande Jacques Attali, ma caratterialmente ancora fragile per guidare una grande potenza politica come la Francia. Ma non c’è dubbio che sinora Macron ha giocato bene le sue carte, smarcandosi con tempismo dalla palude del vecchio sistema basato sulla contrapposizione tra gollisti e socialisti e arrivando a creare un nuovo movimento, nemmeno un partito, “En marche”, definendosi senza alcun timore “né di destra né di sinistra”, intercettando quindi i nuovi elementi di contestazione delle società contemporanee e mettendo implicitamente in discussione le vecchie rappresentanze politiche della democrazie rappresentative dell’Occidente.



In effetti, se si può constatare che la base, il bacino elettorale che può raggiungere l’area che contesta l’establishment dall’estrema destra, può contare, in un grande Paese come la Francia, al massimo per il 35 per cento, è abbastanza facile comprendere che esiste ormai uno “zoccolo duro” con cui occorrerà fare i conti per molto tempo e che c’è voluta grande abilità politica a reinventare un modello di establishment che garantisce una continuità nel rinnovamento.

Nel suo primo intervento pubblico da presidente dei francesi, Macron ha parlato, quasi a sorpresa per un convinto liberista, di lotta alle diseguaglianze sociali, ma soprattutto con il suo movimento ha rappresentato nell’elettorato francese, sconcertato, una speranza e nello stesso tempo un riparo contro la paura della svolta verso l’estrema destra.

Certamente, con la sconfitta di Marine Le Pen, l’Europa, l’Unione Europea e l’europeismo tirano un profondo respiro di sollievo, possono continuare nella loro corsa a fare progetti, a governare il continente.  

Ma, anche con l’europeista Macron all’Eliseo, a Bruxelles e a Berlino sarà bene non trascurare le necessarie riforme e i necessari aggiustamenti, perché sinora una carta importante è stata certamente quella dell’europeismo, ma ancora più importante è stata l’impronta di destra che ha caratterizzato l’anti-europeismo in diversi paesi, massimamente in Francia.

In effetti, di questa impossibilità di “sfondamento” si è resa conto la stessa Marine Le Pen, che ha annunciato, dopo la sconfitta e aver fatto i complimenti a Macron, la necessità di rinnovare l’opposizione alla politica del governo francese e di quello europeo con un nuovo movimento che riunisca “tutti i patrioti”.

Ora bisogna comunque dire che si presentano diversi problemi all’orizzonte. La partita all’Eliseo non ha risolto tutti i problemi che esistono sopra e sotto il tappeto. 

Si diceva che Macron ha rappresentato allo stesso tempo la speranza e la paura e per questo ha vinto con chiarezza. Ma i due fattori li si può notare bene nell’esame scomposto del voto. C’è innanzitutto un’astensione significativa, seconda in percentuale solo alle presidenziali del 1969, a cui va aggiunta una percentuale di schede bianche, tra quelli che si sono recati alle urne, che arriva al 12 per cento.

Il polemico leader della sinistra radicale, Jean Luc Mélenchon, ha subito bollato come nuovo “monarca” Emmaneul Macron, ma ha sottolineato che il secondo partito di Francia è stata l’astensione. Se si eccettuano i complimenti sinceri di François Hollande, il presidente uscente, nessun altro leader della vecchia Francia repubblicana ha fatto dichiarazioni. E in ballo, dopo la nomina all’Eliseo, ci sono le legislative del 10 giugno con una maggioranza da costituire, con un primo ministro e un governo da nominare. Non sarà affatto semplice. 

Perché a Macron è riuscito un autentico terremoto politico nella battaglia per l’Eliseo, ma sarà difficile ripetere questo schema per la Camera dei deputati e con trattative per una eventuale “coabitazione” con i gollisti e i resti dei socialisti.

Alle prossime scadenze elettorali del 10 giugno, Macron dovrà convincere i francesi a votare personaggi che fanno parte del suo movimento, che non è ancora partito, e ad accettare una coabitazione che non sciupi gli elementi di novità che ha portato. Un’operazione tutt’altro che facile e che potrebbe creare contraccolpi imprevisti.

Poi, in prospettiva, Macron deve guardarsi dalle manovre europee che Paul Krugman, che si augurava una vittoria di Macron, ha paventato in questi termini: non vorrei che una vittoria del giovane Macron consolasse l’Europa fino a dimenticarsi delle riforme necessarie.

Per ora però, la cronaca impone i festeggiamenti per il giovane di “En marche”. Quello che si deve affrontare in seguito è un’incognita che comunque parte da una sconfitta dell’estrema destra, se non da uno “zoccolo duro” che almeno vuole un’autentica riforma europea.