La vittoria di Emanuel Macron alle presidenziali francesi imprime una nuova difficile direzione di marcia all’Europa e quindi anche all’Italia.

I timori nazionalisti, che montavano dietro l’aumento dei consensi di Marine Le Pen, sfumano. Restano invece questioni più ampie sulla governabilità del paese e sulla rapida applicazione di misure di liberalizzazione dell’economia. Infatti è probabile che Macron debba fare i conti con un parlamento dove il suo partito En Marche non avrà la maggioranza.



Con Macron in sella e con le elezioni tedesche quasi alle spalle (in Germania chiunque vinca non cambia la linea europeista) è probabile che nella Ue si rafforzi la volontà “punitiva” contro il Brexit britannico. Ci sono già stati segni inequivocabili in questo senso. Il Regno Unito andrà infatti al voto a giugno proprio per dare al governo di Theresa May una maggioranza certa con cui trattare con Bruxelles l’uscita in posizione di forza. Ma sarà forza contro forza, evidentemente, perché nel frattempo a Parigi e Berlino, asse storico della vecchia Ue, si sarà ricomposta la Framania, Francia più Germania, come la definì lo storico Michel Korinman vent’anni fa.



Molte cose quindi sono incerte nel prevedibile scontro fra Framania e il Regno Unito, a cominciare dalle rispettive questioni interne.

Se il nuovo asse franco-tedesco, fra la fine dell’anno e l’inizio dell’anno prossimo, imporrà un vero rinnovamento alla Ue, maggiore libertà dei mercati, maggiore integrazione di aziende europee, e si procederà verso l’integrazione politica, allora l’intero assetto intorno alla Framania potrebbe mutare.

Oggi Londra è per il Brexit anche per l’appoggio della nuova amministrazione americana, scettica sulla Ue. Inoltre verso la Ue (creata dagli Usa contro la Russia) c’è sempre stata malcelata ostilità anche a Mosca. Così nei fatti si è creato un allineamento di interessi Usa-Uk-Russia contro la Ue che finora ne ha minato la forza centripeta.



Se però la Framania riuscisse ad andare avanti, elaborando un’attenta diplomazia volta a persuadere in primo luogo Washington dell’opportunità unificatrice, anche la minaccia del Brexit perderebbe di peso e i rapporti con la Russia potrebbero essere reimpostati.

Quindi, davanti a un atteggiamento forse più europeista di Washington, e le spinte centrifughe della Scozia e dell’Ulster (attirate da Bruxelles) il Regno Unito cambierebbe forse posizione.

Se viceversa nei prossimi 12 mesi circa la Framania non riuscisse a prendere forma, o prendesse una cattiva forma, o trovasse la netta ostilità americana, allora tutta la costruzione europea rischierebbe di sbriciolarsi, con conseguenze oggi difficili da afferrare.

In questo contesto, apparentemente ignorato dal dibattito politico a Roma, si colloca il vero dilemma italiano. Se l’Italia avesse una politica estera forte potrebbe attivamente scegliere come partecipare a questa partita, se con la Framania o contro. Ma l’Italia non ha una politica estera forte, perché non ce l’ha avuta per molti anni, e perché strutturalmente, per il suo debito pubblico enorme, è incatenata dai creditori.

Inutile quindi farsi illusioni e abbaiare ai quattro venti contro o per l’Europa: l’Italia può solo aspettare che la polvere cominci a posarsi sul terreno per seguire la tendenza vincente di questa tenzone.

La stessa unità d’Italia si fece così, con la guerra di Crimea del 1855. Scegliendo di aiutare allora Inghilterra e Francia a combattere la Russia in Crimea, il Piemonte pose la prima importante pietra per la conquista del Regno di Napoli (alleato della Russia e insofferente dell’influenza inglese in Sicilia e del fatto che Londra non avesse restituito Malta dopo le guerre napoleoniche). Infatti, nel 1859 i Francesi aiutarono Torino nella Seconda guerra d’indipendenza, e nel 1860 gli inglesi appoggiarono Garibaldi nell’impresa dei Mille. Se i russi avessero vinto la guerra in Crimea forse oggi Napoli sarebbe la capitale d’Italia.

Perciò l’orizzonte vero delle elezioni in Italia è quello dell’inizio dell’anno prossimo, quando gran parte del polverone si sarà posato e i contorni del confronto internazionale si saranno chiariti.

Né in questo confronto l’Italia ha vera forza di ricatto. Il debito è enorme ma ormai incapsulato dalla Banca europea, per cui Roma comunque ha margini di manovra molto limitati rispetto alle volontà europee.

Difficile pensare che in Framania o in Usa-Uk-Russia si voglia dare spazio alle elezioni italiane per portare anche la confusionaria e impreparata Roma a questa intricato tavolo di trattative. Difficile anche pensare che qualche partito a Roma abbia forza propria per imporsi a questo consesso internazionale. Occorrerebbe un altro Cavour per la bisogna e un lento, annoso lavoro di ricamo per ricavare una posizione simile all’Italia.

In mancanza di ciò, cosa più probabile, chiunque vinca alle elezioni dell’anno prossimo avrà il compito di capire come posizionare al meglio, o alla meno peggio, l’Italia in questo contesto. Per questo varrà chi sarà più preparato. Ma non è chiaro se qualcuno dei partiti in lizza si stia già preparando per questo scenario.

Senza questa valutazione, chiunque vinca non andrà a governare il paese ma solo a partecipare a un misero spoglio di posti assegnati dalle grandi potenze. Forse è proprio in vista di ciò che forse tutti si preparano.

(traduzione di Francesco Sisci)