Mentre in America siamo in pieno parossismo post-maccartista per quanto riguarda il cosiddetto Russiagate, anche l’Europa si scopre russofoba. Ovviamente, su spinta statunitense e con grancassa tedesca. Se infatti l’audizione dell’ex capo dell’Fbi, James Comey, di fronte alla Commissione intelligence del Senato Usa si è rivelata una bufala, tanto che i bookmakers hanno abbassato le quote rispetto a un possibile impeachment del presidente Trump, domani sarà la volta del ministro della Giustizia, Jeff Sessions, a deporre riguardo un suo terzo incontro non dichiarato con l’ambasciatore russo a Washington: anche in questo caso, vedrete che sarà tanto rumore per nulla. Ma, ora, il timore di quello che un tempo era il “pericolo rosso” viene artatamente propagandato anche in Europa, tanto che ieri il quotidiano La Stampa rilanciava con grande enfasi un articolo dal titolo Minaccia nel cuore dell’Europa, Putin punta i missili su Berlino. Accidenti, roba da pelle d’oca, da “Guerra fredda” 2.0, da timore di Terza guerra mondiale!
La notizia non è affatto nuova, ma vecchia di almeno tre mesi, ma, stranamente, da qualche giorno la stampa italiana sta picchiando duro sulla propaganda e l’aggressività russa, basti pensare al delirante servizio pubblicato sabato sul settimanale del Fatto Quotidiano, Millennium. La parola d’ordine è una sola: RussiaToday e Sputnik, agenzie giornalistiche sponsorizzate dal Cremlino, stanno prendendo troppo piede in Europa come fonte di informazione alternativa, occorre reagire e agitare il fantasma, dopo che campagna contro le cosiddette fake news sia è rivelata un autentico fiasco. Troppo ideologici e sdraiati su Washington per ammettere che il successo di quelle testate sia dato dal fatto che dicono la verità rispetto ai media occidentali su molti temi, a partire dalla Siria (basti ricordare come la stampa ha trattato l’attacco chimico a Idlib, il presunto forno crematorio di Assad, gli attacchi a ripetizione dell’aeronautica russa sugli ospedali pediatrici di Aleppo, la canonizzazione in vita dei cosiddetti “Elmetti bianchi”, in realtà solo la “protezione civile” dei terroristi di Al-Nusra per averne un riscontro immediato), ecco che adesso la decisione di Mosca di schierare i sistemi missilistici S-400 a Kaliningrad, tra Lituania e Polonia, non solo diventa allarme dell’ultim’ora, ma, addirittura, scelta unilaterale della Russia, con chiaro intento aggressivo.
Quei vettori, potenzialmente, sono in grado di trasportare testate nucleari: a detta della grancassa atlantica, Berlino è nel mirino primario, ma anche Stoccolma e Copenaghen possono essere raggiunte. Ed ecco le parole rilasciate a La Stampa, giornale notoriamente di tendenza neo-con in politica estera, dal generale John Rutherford Allen: «La Nato e i suoi membri hanno motivo di preoccuparsi di questa violazione gratuita del Trattato Inf. La Nato dovrà prendere in considerazione misure per difendersi da questa nuova minaccia russa». Ma guarda, proprio dopo che Donald Trump ha aumentato a dismisura gli stanziamenti federali per la difesa, tagliando quelli al welfare e fatto partire una campagna internazionale, affinché tutti gli altri membri Nato facciano altrettanto, arrivando alla quota del 2% del Pil per quel settore. E c’è dell’altro. Perché La Stampa, nel suo grido d’allarme alla Dottor Stranamore, scorda qualcosa. Ovvero, al netto dell’allargamento a Est dell’Alleanza post-Muro di Berlino, perfettamente graficizzato qui e in grado di dirci plasticamente chi sta aggredendo chi, di dire ai suoi lettori che tra Polonia e Stati del Baltico sono in corso da almeno due mesi esercitazioni Nato con migliaia di uomini dispiegati, sia di terra che di mare che d’aria. Cominciate ufficialmente il 1 giugno scorso – ma la preparazione e l’arrivo di mezzi risale almeno a marzo – nel porto polacco di Szczcecin, le operazioni Baltops vedono sul terreno oltre 4mila militari Usa ed europei, con schierate oltre 50 tra navi e sottomarini e altrettanti aerei da guerra. Giusto l’altro giorno, caccia SU-27 russi hanno intercettato sul Mar Baltico un bombardiere B-52, di fatto a soli 350 chilometri di Mosca e gli incidenti e provocazioni tra velivoli avversari si susseguono da settimane. Inoltre, altri 2mila soldati, 1000 personali di assistenza e 500 veicoli da 11 nazioni NATO sono schierati in Romania per la cosiddetta esercitazione Noble Jump 2017.
Ma c’è dell’altro. Lo scorso 29 aprile una cinquantina di ingegneri militari di base alla Canadian Forces Base Gagetown sono stati dislocati in Lettonia all’interno della cosiddetta Operation Reassurance, operazione che ha come missione quella di costruire una vera e propria cittadella in grado di ospitare in maniera permanente 500 soldati Nato in perfetta operatività: di fatto, una presenza fissa – e non legata a esercitazioni – sui confini russi. Stando a quanto dichiarato dal colonnello Chris Cotton, «l’installazione avrà tutto ciò che ci si aspetta di trovare in una piccola città, dai qiartieri alla rete fognaria, elettrica e dell’acqua, sistema di copertura per Internet, fino alle palestre e ai centri ricreativi. Tutto quanto serve a chi deve sopravvivere per un tempo molto lungo in Lettonia». A fine aprile, un battaglione a guida Usa composto da 1350 soldati della Enhanced Forward Presence Nato in Europa dell’Est è arrivato alla base vicino Orzysz, in Polonia: questo, soltanto poco tempo dopo che, intervenendo al Consiglio Nato-Russia, il numero uno dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, aveva parlato della necessità di «un dialogo franco e costruttivo con Mosca». Strana concezione di dialogo e di costruttività. Infine, a maggio sono arrivati in Romania combattenti della Raf britannica, dopo che a marzo in Estonia si erano schierati 800 soldati di Sua Maestà con al seguito 300 veicoli blindati: resteranno lì e si alterneranno su base rotatoria con militari francesi e danesi.
Scusate, a fronte di tutto questo (documentabile su fonti Nato), cosa avrebbe dovuto fare Vladimir Putin, spalancare le porte di casa e di “avanti”? Ma c’è di più, perché la campagna ad Est della Nato sta ora puntando decisamente al cuore nevralgico della cosiddetta Eurasia, il suo ponte naturale: i Balcani, teatri negli anni Novanta di sanguinose guerre in nome degli interessi geopolitici. Lunedì scorso, infatti, nonostante un ribellione della popolazione, che ha apostrofato come “traditori” e “ladri” i parlamentari di Podgorica, il Montenegro è entrato ufficialmente a far parte della Nato, il 29mo membro a furor di classe politica: il voto dello scorso 28 aprile, infatti, ha registrato un netto 46 a 0. Detto fatto, subito dopo Donald Trump aveva ratificato il risultato uscito dal Congresso Usa, rapidissimo anch’esso nel votare per l’accoglienza calorosa del Montenegro nell’Alleanza, Ora resta aperto il capitolo Macedonia, dove la Nato sta instaurando una sorta di protettorato attraverso la lobby albanese del Paese e dove, casualmente, l’Organized Crime & Corruption Reporting Project, la scorsa settimana ha presentato un report in cui si accusano diplomatici e servizi segreti russi di interferire nelle questioni interne: sapete chi finanzia quella Ong? La Usaid (United States Agency for International Development),il Dipartimento di Stato Usa, la Confederazione elvetica (dove è presente una ricca, numerosa e influente comunità albanese) e le fondazioni legate alla Open Society di George Soros. Ultimo baluardo dell’antica sfera di influenza russa, la Serbia, la quale caso strano si trova ad affrontare le sempre più pressanti rivendicazioni di indipendenza totale della regione da parte del Kosovo, protettorato albanese e Nato, nonché culla dello Stato islamico in Europa.
La scorsa settimana, oltre il 90% delle tombe di un cimitero serbo ortodosso nella parte sud (albanese e musulmana) della città simbolo di Kosovska Mitrovica è stato distrutto, come confermato da centinaia di serbi recatisi al camposanto il 3 giugno scorso, nel giorno dei morti, per rendere omaggio ai propri cari. Il tutto a poche ore di macchina da Trieste, non nella lontana Siria. Vogliamo compiere lo stesso errore compiuto nel 1999, quando spalancammo porte e basi aeree al progetto di destabilizzazione globalista di Clinton e Blair, creando i presupposti per la radicalizzazione islamica dei Balcani? Se sì, andiamo avanti a farci dettare l’agenda dalla Nato, siamo su un’ottima strada. Proprio sicuri che sia la Russia di Vladimir Putin il nostro nemico? Se sì, citatemi un singolo atto aggressivo nel confronti dell’Europa, al netto delle nostre demenziali sanzioni legate alla Crimea? Pensateci, stanno costando miliardi di export alle aziende europee, mentre lo status di guerra fredda permanente consente di fare miliardi al complesso bellico-industriale Usa e Nato.
Siamo davvero così idioti? Lo scopriremo presto, forse oggi, visto che in Russia è la giornata della festa nazionale e i sedicenti oppositori anti-corruzione capitanati dall’agente di Soros, Alexei Navalny, hanno promesso manifestazioni in tutto il Paese, con o senza l’autorizzazione delle autorità. Se lo faranno e la polizia interverrà, come previsto dalla legge russa sulle manifestazioni di piazza, vedremo la reazione di istituzioni e stampa europea: se sarà isterica come quella per le poche decine di arresti di un mese fa, divenuti per giorni lo scandalo mondiale da combattere, avremo la prova. Di essere davvero idioti.