Negli Stati Uniti in questi giorni tiene banco la storia di Mohamad Khweis, un 27enne della Virginia che, come molti suoi coetanei musulmani in tutto il mondo, ha deciso di viaggiare verso la Siria ed unirsi allo Stato Islamico. Ma non per la jihad: semplicemente, almeno stando a quanto raccontato nel processo che lo vede protagonista, per andare a vedere di persona cosa succede da quelle parti. “Volevo raccogliere una testimonianza come fanno i giornalisti di Vice”, ha risposto al giudice di fronte comunque a capi d’accusa pesanti per terrorismo. Dalla testimonianza di Khweis stanno emergendo però particolari molto interessanti sulla vita nello Stato Islamico: al contrario degli altri terroristi di ritorno dalla Siria, Mohamad sta tenendo fede ai suoi propositi giornalistici, raccontando come si fa ad unirsi alla Jihad e come si vive sotto la guida dell’Isis.



Il racconto di Mohamad Khweis sta fornendo agli inquirenti parecchi particolari su come gli jihadisti si uniscano tecnicamente alla guerra nello Stato Islamico. Dopo aver viaggiato in Europa ed aver fatto due scali, Khweis ha raggiunto la Turchia e una cittadina sul confine con la Siria, Gaziantep. Da lì ha iniziato a mettersi in contatto via internet con alcuni jihadisti, accordandosi per farsi venire a prendere in un hotel, da dove è stato trasportato seguendo rigorosamente le tracce delle altre automobili già passate, visto che il territorio era disseminato di mine antiuomo. Dopodiché Khweis è stato sottoposto ad una vera e propria schedatura, con il gruppo di jihadisti che ha voluto informarsi su tutti i suoi segni particolari, compreso il numero di scarpe, e quindi ha effettuato su di lui il test per l’Epatite B e l’HIV. Dopodiché si è unito a un gruppo che ha cominciato a fargli domande sulla vita dei musulmani in America: i membri dell’Isis, secondo la testimonianza di Khweis, sono convinti che i musulmani siano perseguitati in Occidente, non possano guidare e siano privi di diritti civili.



Tanto che lo stesso Khweis ha dovuto smentire, spiegando come in realtà la libertà religiosa dei musulmani sia rispettata negli USA ed anzi spesso i poliziotti scortino i gruppi che si recano alla moschea. La testimonianza più importante riportata da Khweis, che può dire di aver vissuto una vera e propria esperienza fra terrorismo e giornalismo, è il fatto che l’Isis tenga dei meticolosi registri in cui ogni combattente viene registrato. Dunque Daesh è perfettamente consapevole dei numeri della propria forza, e per ogni soldato viene prevista un’indennità, da corrispondere alla famiglia in caso di morte. Seamus Hughes, vice direttore del programma sull’estremismo presso la George Washington University, ha definito oro la testimonianza di Khweis, mai così dettagliata e spontanea in altri casi. Khweis è ancora accusato di affiliazione al terrorismo, ma ha lasciato di sua volontà la Siria, ricordandosi di aver capito di essere fuori dai territori controllati dall’Isis quando ha sentito odore di fumo, poiché le sigarette sono proibite nello Stato Islamico.

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