“Oggi è la festa della Russia, un paese che odia il proprio futuro, e i propri figli”, così ha commentato su Facebook una signora russa dopo aver visto i video degli arresti e pestaggi dei giovanissimi dimostranti di lunedì scorso a Mosca.
Era una festa nazionale, la Giornata della Russia, e ancora una volta si sono visti tanti adolescenti (ma non solo) in strada, a scandire slogan e farsi manganellare dalla polizia; aizzati, se così si può dire, da quel giocatore politico che è Aleksej Naval’nyj, che sta combattendo la sua battaglia per la presidenza.
Ormai è impossibile non accorgersi di questa ondata protestataria che non accenna a scemare. Il clima politico in Russia è così arroventato che qualsiasi disfunzione o incidente, qualsiasi problema sociale, urbanistico, sanitario diventa un problema politico. Tutto si politicizza e viene imputato al governo: il pagamento del nuovo pedaggio autostradale, la distruzione dei parchi urbani, l’eliminazione del commercio di strada, la demolizione dei vecchi rioni.
Quest’ultimo tema a Mosca oggi è letteralmente di fuoco: la gente è inferocita per via della cosiddetta “ricostruzione”, cioè la demolizione di interi isolati di case sovietiche, non sempre fatiscenti, in vista di una colossale speculazione edilizia miliardaria, che ha toccato però gli interessi personali di migliaia di moscoviti: infatti l’amministrazione cittadina, dopo averli sfrattati, offre loro un cambio “di uguale valore” ma assolutamente impari, dato che invece della vecchia casa nel centro storico se ne ritrovano una nuova nella più lontana periferia.
A questi svariati motivi di protesta si aggiunge poi il tema universale della corruzione, a cui sono sensibili tutti. All’inizio dell’anno lo staff di Naval’nyj ha prodotto un video di 50 minuti molto ben costruito, che dimostra dati alla mano l’impero economico del premier Medvedev. Fatto con pochi mezzi, pubblicizzato solo con il passaparola, è stato visto, pare, da 70 milioni di russi e ha fatto quello che nessuna campagna governativa è riuscita a disfare: ha convinto l’intero paese che i dirigenti sono tutti corrotti.
Dopo l’uscita del video c’è stata la manifestazione del 26 marzo. Ma lunedì, a detta delle stesse autorità, la mobilitazione è stata maggiore del 26 marzo. L’invito di Naval’nyj a scendere in piazza è stato raccolto in 187 città, anche nella dormiente periferia, sino a Vladivostok sul Pacifico. A Mosca e San Pietroburgo il numero dei partecipanti si conta a migliaia, ma come sempre i dati non coincidono, soltanto si sa per certo che i fermati sono stati oltre 1300.
A Naval’nyj avevano concesso un meeting sul viale Sacharov, ampio ma fuori mano, invece lui, la notte della vigilia, ha lanciato un contrordine perché, ha detto, nessuna ditta di amplificazione aveva voluto noleggiargli le apparecchiature. Per cui: niente microfoni, niente meeting. Tutti a passeggiare sulla centralissima via Tverskaja.
Il responsabile della sicurezza nella capitale, Vladimir Cernikov, aveva avvertito alla radio che “se i cittadini vanno a passeggio tranquillamente e mostrano solidarietà con la maggioranza che festeggia la Giornata della Russia, tutto andrà per il meglio. Se invece dovessero manifestare determinati sentimenti, la polizia potrebbe notarlo”.
E infatti Naval’nyj è stato “notato” subito e prelevato dalla polizia sulla porta di casa sin dal mattino. Ma le manifestazioni sono partite lo stesso: a Pietroburgo erano circa 10mila sul campo di Marte; a Novosibirsk (dove ha partecipato anche il sindaco!) e a Ekaterinburg erano 5mila; a Celjabinsk 4mila, a Nižnij Novgorod 3.500, a Omsk, Saratov, Irkutsk, Kazan, Perm oltre 2mila. E si vede, dai filmati messi online, che per questi ragazzi era quasi un punto d’onore farsi trascinare via dai poliziotti mentre tutti intorno gridavano “Vergogna!”.
Dicono che i seguaci di Naval’nyj sono troppo giovani, che i suoi sostenitori sono tutti sotto i 40 e mancano le generazioni mature; forse è vero, ma i moscoviti che lunedì a Mosca hanno dimostrato separatamente contro la “ricostruzione” erano qualche migliaio. Quindi l’opposizione non è solo Naval’nyj.
Ci sono in tutto questo alcune piccole certezze: una è che la fascia della protesta si allarga geograficamente e numericamente, sempre più gente non politicizzata vi si aggrega; e che d’altro canto la protesta si consolida e riesce ad alleare varie forze dell’opposizione, tanto è vero che in varie città hanno manifestato insieme Jabloko e “Russia aperta”, organizzazioni che riconoscono Naval’nyj come un leader. Del resto Naval’nyj si impone come l’unico che sappia magistralmente incanalare lo scontento, anche se la sua strada verso la candidatura alle presidenziali è già sbarrata.
Un’altra cosa certa è che dal 26 marzo a lunedì scorso il governo non ha saputo partorire nessuna contromisura, nessun discorso convincente per recuperare credibilità e rilanciare la propria retorica, un po’ sdrucita, fatta di grandezza della patria e orgoglio militarista.
Di fronte al vuoto del governo, ancora non si vede un programma positivo neppure nell’opposizione, se non il mantra “via Putin!”. Però è chiaro anche che i “valori di Stato” non hanno presa su questi giovani. Ma allora cosa fa presa su di loro? Lo si capisce un poco ascoltando gli slogan che scandivano, creandoli spesso sul momento. Oltre ai soliti contro il governo “Putin ladro”, “Tutti gli statali sono farabutti e ladri”, “basta rubare!”, ce n’erano anche altri più interessanti, in cui ci potrebbe essere il germe di un impegno duraturo: “Abbiamo delle domande, vogliamo delle risposte!”, “Noi non ce ne andiamo”, “la Russia sarà libera”.