“Un conflitto regionale che può realmente diventare mondiale, perché porta con sé i problemi legati agli interessi e alla proiezione internazionale di Usa, Russia e Cina”. E’ questo, secondo Mario Mauro, senatore di Forza Italia ed ex ministro della Difesa, lo scenario di una possibile escalation militare nel Golfo Persico, dopo che l’Arabia Saudita ha deciso l’isolamento del Qatar, resosi colpevole di avere finanziato il terrorismo ed essersi avvicinato troppo a Teheran. Nel frattempo, l’Arabia Saudita fa patti con la Cina per prendersi le Maldive.
Abbiamo sempre saputo che Arabia Saudita e Qatar finanziano i movimenti islamisti. Non bastava l’obiettivo comune a farne due paesi alleati? Che cosa è cambiato?
Arabia Saudita e Qatar non finanziano indistintamente tutti. Occorre fare attenzione per non confondere strategie apparentemente simili solo per noi, ma differenti nella realtà. I sauditi finanziano i movimenti salafiti ma non i Fratelli musulmani, per la semplice ragione che la Fratellanza, essa sì ampiamente foraggiata dal Qatar, è una realtà politico-religiosa che ha come ambizione la diffusione dell’islam politico e il sovvertimento delle gerarchie che hanno garantito gli equilibri del mondo arabo dopo l’implosione dell’impero ottomano.
Chi è oggi il principale sponsor della Fratellanza musulmana?
La Turchia di Erdogan. Lo stesso Erdogan che non ha caso si è affrettato a dichiarare l’invio di truppe militari in Qatar quando Egitto, Arabia Saudita ed Emirati ne hanno proclamato l’isolamento.
Tutto questo cosa significa?
Ci deve far capire che la partita non è bipolare ma tripolare: essa non è solo tra Iran e Arabia Saudita con i rispettivi alleati, ma tra Iran sciita, con interessi compartecipati dallo stesso Qatar che è a maggioranza sunnita ed è dotato di infinite risorse finanziarie, Arabia Saudita, con i suoi alleati tradizionali o più recenti come l’Egitto, e Turchia.
E se guardiamo alla Siria?
La leva del finanziamento di gruppi eversivi o terroristi e il gioco dell’utilizzo di milizie mercenarie fa assomigliare la Siria al complicato puzzle dell’Europa e dell’Italia tra Cinque e Seicento, dove si combattevano guerre per procura tra le potenze europee. Con la differenza che l’Italia non era uno stato unitario, mentre la Siria lo è ma rischia di non esserlo più.
Lei ha chiamato in causa anche l’Egitto. Perché?
L’Egitto, accanto a Iran, Arabia e Turchia, ambisce ad avere a un ruolo egemone come al tempo di Nasser. Attualmente però non è nelle condizioni economiche e politiche per poterlo svolgere.
Qual è l’obiettivo di Iran, Arabia e Turchia?
L’egemonia sull’area e il controllo delle grandi vie energetiche. La cosa interessante è anche ciò che hanno in comune: il rapporto con gli Usa. L’Iran è stato per anni alleato degli Stati Uniti nelle politiche di approvvigionamento energetico. Il fatto che oggi non lo sia più e sia visto come un nemico, fa capire che da quelle parti spostare l’ago della bilancia da un paese all’altro comporta reazioni molto pericolose.
Come ha fatto Trump rispetto a Obama.
E come avvenuto di recente nel rapporto Usa-Turchia. Erdogan ha virato verso un’apertura alla Russia proprio perché sul piano politico gli Usa avevano determinato situazioni realmente incomprensibili.
Qual è il problema della strategia americana?
Gli Stati Uniti hanno voluto essere l’interlocutore privilegiato sia dei sauditi sia dei turchi; nello stesso tempo, dopo Obama, si sono schierati contro l’Iran. Questo ha messo gli Usa nella situazione goldoniana di essere un arlecchino servo di due o perfino tre padroni. O meglio: di essere padroni di due o tre arlecchini. Compresi i sauditi.
E a questo punto l’Arabia Saudita ha deciso la sua mossa contro il Qatar.
Esattamente. I sauditi, forti dell’alleanza con Tump rinnovata a suon di dollari (110 miliardi di commesse militari) hanno pensato di fare cappotto: o si sta con noi o si sta contro di noi, e quindi anche contro gli Usa. Mettendo così il Qatar in una situazione difficile, viste la relazione ambigua di Doha nei confronti di Teheran.
Washington può rimediare?
E’ difficile. Il Qatar ha enormi investimenti negli Usa e gli stessi americani hanno la loro principale base mediorientale proprio in Qatar, ad al Udeid.
Erdogan?
Oscilla tra la legittimazione della nuova Turchia neo-ottomana, proiettata da un lato verso i Balcani e dall’altro verso i paesi dell’Africa musulmana. E’ una Turchia tendenzialmente anti-araba e anti-persiana.
Il ruolo dell’Europa?
Gravemente deficitario. Innanzitutto l’Europa è assente dal tavolo di Astana sulla Siria, dove Turchia, paesi arabi e Russia stanno interloquendo. Questa latitanza europea ha reso forte e credibile il ruolo della Russia e ancor più fragile la già approssimativa capacità americana di intervenire nel Mediterraneo.
Torniamo alla crisi del Golfo. Cosa può succedere?
E’ una situazione che può innescare con grande facilità un conflitto militare. Oggi pensiamo all’Isis e alla Siria come alla maggiore devastazione vissuta in Medio oriente, ma ci sbagliamo. La guerra frontale tra Iran e Iraq (1980-88, ndr) è costata milioni di morti.
Dunque c’è la possibilità di uno scontro aperto, frontale?
Sì, perché non è detto che si trovino sempre gli Orazi e i Curiazi di turno, leggasi Isis, al Nusra e via dicendo. E sarebbe uno scontro altamente distruttivo, visto che i paesi interessati hanno armi americane potenti e sofisticate.
Tutto il mondo musulmano è lacerato da vari conflitti regionali. Quello libico è uno di questi. Cosa dobbiamo aspettarci su questo fronte?
Un maggiore coinvolgimento russo. Lo scorso gennaio l’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar, è stato ospitato sulla portaerei russa Kuznetsov, a dimostrazione dell’appoggio garantito da Mosca. Non solo. Il ministero della Difesa russo ha fatto effettuare recentemente esercitazioni a fuoco al largo di Tobruk o nel Golfo della Sirte: uno show con cui i russi mostrerebbero bandiera per indicare il sostegno ad Haftar e al governo della Cirenaica e confermare alla Nato il loro ritorno in forze nella ex colonia italiana e nel cosiddetto “Mare Nostrum”.
Qual è la prossima mossa dell’Arabia Saudita?
E’ già avvenuta: sta flirtando con la Cina. Riyadh intende spiazzare Teheran nel suo rapporto privilegiato con Pechino e prevede investimenti comuni eccezionali, sauditi e cinesi, ma gestiti dai sauditi sul piano militare, alle Maldive. Intendono militarizzare 19 isole dell’arcipelago creando una sorta di hub dell’Indiano nel quale dispiegare la potenza Saudita e controllare le vie commerciali.
Con quali conseguenze immediate?
Lo stress degli equilibri planetari e l’insofferenza di molti gruppi islamici verso i sauditi.
(Federico Ferraù)