Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrain ed Egitto, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche con il Qatar, hanno inviato a Doha tredici richieste a cui rispondere entro dieci giorni per poter riprendere il dialogo. Richieste fatte apposta per ricevere una risposta negativa e buttare legna sul fuoco di una crisi che ha una sola motivazione, come ha detto al sussidiario Andrea Margelletti: “Mettere in un angolo l’Iran, che dopo due elezioni vinte dai moderati sta dimostrando tutta la sua volontà di dialogare con l’Occidente. Questo, evidentemente, dà fastidio a qualcuno”. Anche qualcuno che dall’Arabia Saudita si è portato a casa un bell’assegno tondo tondo: “Donald Trump fa quello che aveva annunciato, rifare l’America grande, e c’è una sola grande industria nazionale che guadagna bene, non solo negli Usa, ed è quella militare”.



La crisi dei Paesi del Golfo arriva a una svolta: a che cosa mirano l’Arabia Saudita e i suoi alleati?

La chiave di tutto è ovviamente l’Iran. Si sta giocando una partita che dal 1979 a oggi non è mai stata giocata.

Quale?

L’Iran si sta presentando come una realtà, grazie a due elezioni di seguito vinte dai moderati, con la quale si può aprire un dialogo come sempre in precedenza c’era stato con il mondo occidentale per decenni. Questo naturalmente fa paura a chi dal 1979 a oggi ha beneficiato di questa chiusura. 



Che ovviamente sono i Paesi del Golfo. Ma l’Egitto cosa c’entra in tutto questo?

L’Egitto contava moltissimo una volta nel mondo arabo, un vecchio adagio diceva “succede prima in Egitto e poi nel mondo arabo”. L’Egitto ha ancora un grande peso dal punto di vista culturale ma è un paese in drammatica crisi economica e interna, il suo peso è meno rilevante di quello che ha sempre avuto e cerca di riproporsi nuovamente nel mondo arabo.

Dietro a questa crisi scatenata contro il Qatar ci potrebbe essere dietro l’America? Forse non è un caso che sia scoppiata pochi giorni dopo la visita di Trump in Arabia Saudita.



Certamente. Da parte di una componente dell’amministrazione americana c’è la necessità di mettere l’Iran sempre più in difficoltà. La vittoria dei moderati mette a sua volta quella parte in difficoltà. Hanno vinto quelli che vogliono il dialogo. L’interesse americano a vendere armi poi è tornato alla ribalta grazie a Trump. Con il suo slogan “make America great again”, il presidente americano intende rilanciare la grande industria nazionale che, anche in Europa, è quella militare. La difesa è per definizione un’industria nazionale e quindi l’aumento di attenzione in quell’area da parte di Washington significa che si vendono più armi. Non a caso è tornato con un assegno importante.

Che cosa succederà adesso? Il Qatar accetterà le richieste?

Difficilmente. L’attivismo del Qatar è relativamente nuovo, ha una decina di anni, ma ha ottenuto grandi successi. E’ riuscito a ottenere proventi economici non solo dall’economia energetica, ma ha diversificato, ha dato vita a un attivismo nel campo comunicazione molto forte. E poi c’è un cambio generazionale in atto della leadership che mira a rendere il Paese sempre più indipendente da quelli circostanti.

Tra le richieste fatte quella di non sostenere i gruppi terroristici fondamentalisti, cosa che fa ridere pensando che viene dall’Arabia…

Infatti, non c’è proprio nulla da dire al proposito.

Iran, ma anche Turchia, che in Qatar ha una base militare e sta sostenendo economicamente il paese dopo la rottura dei rapporti con i Paesi del Golfo. Quale il suo ruolo?

La Turchia tradizionalmente vuole un ruolo egemonico nel mondo arabo come ha sempre avuto ai tempi dell’impero ottomano, ma paga lo scotto di non essere una nazione araba e quindi in qualche maniera è una partita già scoperta, cerca una base in quella zona per infilarsi nel mondo arabo, ma non solo. Vuole avere interlocutori importanti ma cerca sempre di essere la nazione leader e non credo proprio che il Qatar voglia essere un fronte secondario di qualcuno. 

In che modo ritiene che il Qatar risponderà all’ultimatum?

Chiunque conosca abbastanza bene il mondo arabo anche per averci passato qualche giorno, sa che c’è una sola parola importante che lo definisce: negoziazione. Si procederà con lunghe negoziazioni, dialoghi, compromessi e promesse e rifiuti da una parte e dall’altra.