Dopo la “liquidazione” in Russia dei Testimoni di Geova decisa dalla Corte Suprema di Mosca, le autorità russe stanno ora passando a un altro obiettivo: la Chiesa di Scientology. Perquisizioni e arresti sembrano preparare la strada a una nuova “liquidazione” dopo quella dei Testimoni di Geova. È un film già visto: contro gli Scientologi, come già contro i Testimoni di Geova, si applica non la legge russa del 2016 che vieta il proselitismo — cioè qualunque attività missionaria condotta al di fuori dei luoghi di culto — ma quella del 2002, modificata nel 2006, sull’estremismo, originariamente presentata come arma per prevenire il terrorismo ultra-fondamentalista islamico. 



Solo che l’estremismo non è più definito come pratica o apologia della violenza. Si considera estremista qualunque organizzazione religiosa in cui si riscontrano tre elementi: si presenta come l’unica via di salvezza, criticando le altre religioni come false o limitate; divide le famiglie, perché se uno solo dei due coniugi aderisce al movimento oppure lo lascia il divorzio è frequente; e tratta male gli ex membri che lasciano il movimento, consigliando a chi è rimasto nel gruppo di tagliare i ponti e non frequentarli più, anche se si tratta di familiari.



Non è che queste accuse siano false: è vero che sia Scientology sia i Testimoni di Geova sottolineano in modo enfatico la loro eccellenza fra le religioni, è vero che se uno solo tra due coniugi aderisce o lascia questi movimenti il divorzio è molto frequente, ed è vero che ai familiari e agli amici è fortemente suggerito — o ingiunto, sotto pena di allontanamento dal movimento — di non frequentare più gli ex membri “apostati”, anche se si tratta di familiari. 

Il problema è, come i sociologi delle religioni ben sanno, che queste caratteristiche — che possiamo certamente considerare discutibili — si ritrovano in centinaia di religioni e movimenti, compresi movimenti interni alle grandi religioni. Basta conoscere un po’ l’islam per sapere che il Corano ha parole di fuoco per i non monoteisti, che sottolinea il ruolo dell’islam come unica religione vera, e che secondo alcune scuole giuridiche islamiche — non tutte, certo — l’apostata non deve solo essere ostracizzato sul piano sociale, ma deve essere ucciso.



Gli stessi sociologi ci dicono, statistiche alla mano, che quando uno solo fra due coniugi cambia fede il divorzio è frequente, di qualunque religione si tratti. Fino a non molti decenni fa gli scomunicati erano considerati come “vitandi”, cioè “da evitare”, dalla Chiesa cattolica, e ancora oggi il “bando stretto”, cioè il divieto di comunicazioni con chi lascia la fede, anche se si tratta di un familiare, pena la scomunica, vige in centinaia di gruppi religiosi, compresi alcuni considerati simpatici e gentili come gli Amish, per non parlare dell’islam e di movimenti ebraici e protestanti conservatori o fondamentalisti che contano milioni di seguaci. E non è che la Chiesa ortodossa russa — che pure ha tanti aspetti ammirevoli —, o almeno alcune sue frange, vada per il sottile quando si tratta di proclamare eretiche o perfino frutto dell’opera del Diavolo altre religioni, di presentarsi come unica religione voluta da Dio e capace di guidare gli uomini alla salvezza, di demonizzare chi ha lasciato la Chiesa e magari la critica.

Le autorità russe, il cui scopo è proteggere la Chiesa ortodossa, del cui sostegno il regime di Putin, in difficoltà in patria e all’estero, ha un disperato bisogno, liquidando qualunque gruppo che sia attivo nella missione in Russia e cerchi di convertire gli ortodossi a un’altra religione, si muovono con una certa furbizia, cominciando a colpire i Testimoni di Geova e gli Scientologi che sono gruppi a diverso titolo impopolari. 

È però miope e sbagliato l’atteggiamento di chi, anche in Italia, applaude i provvedimenti russi per antipatia verso questi gruppi: parlo di chi sbaglia in buona fede perché altri, più numerosi di quanto si creda, ricevono il “soldino dal Cremlino”. Anzitutto, la libertà religiosa è indivisibile, comprende la libertà di missione e di cercare di convertire altri alla propria fede e non solo la libertà di culto, e va difesa in tutti i casi, ci siano o meno simpatici coloro che la esercitano. Né valgono le distinzioni — da anni ripudiate dai sociologi specialisti di questo settore — fra “sette” e “religioni” — chi giudica e sulla base di quali criteri? —, o l’argomento secondo cui Scientology “non è una religione”. A parte che la Corte di Cassazione italiana, per esempio, ha stabilito il contrario in una lunghissima ed esemplare sentenza — che personalmente condivido —, se anche non si trattasse di religione Scientology sarebbe comunque protetta da norme e convenzioni internazionali sulla libertà di pensiero e opinione.

E va fuori tema chi difende la Russia elencando vere o presunte malefatte dei Testimoni di Geova o di Scientology. Se queste sono provate, e rientrano nell’ambito dei reati comuni, saranno giustamente perseguite secondo le leggi comuni. Altro è pensare di “liquidare” intere organizzazioni e di vietare la diffusione di testi che presentano le loro dottrine sostenendo che sono “estremisti”.

Gli apologisti della Russia non si rendono conto che con questa definizione di “estremismo”, peraltro già più volte condannata in sede di organizzazioni internazionali, in Russia diventa possibile “liquidare” chiunque entri nel mirino di certe lobby. Ci sono già avvisaglie che riguardano Chiese evangeliche e movimenti induisti, e la stessa Chiesa cattolica russa dopo la decisione sui Testimoni di Geova ha dichiarato di non sentirsi al sicuro.

Questo significa che bisogna interrompere il dialogo con la Chiesa ortodossa russa, tanto caro a Papa Francesco? No, certo. Anzitutto la Chiesa ortodossa russa è una grande organizzazione in cui convivono varie opinioni. Non tutti sono d’accordo con le frange “anti-sette” — legate del resto ai loro omologhi occidentali — e con “cacciatori di sette” come Alexander Dvorkin, che in Russia sostengono tesi così estreme da essere imbarazzanti anche per molti vescovi e preti ortodossi. Anni fa cercarono di far mettere fuori legge come “estremista” perfino il testo sacro induista “Bhagavad-Gita”, suscitando imponenti dimostrazioni anti-russe in India. Non si devono confondere queste frange impazzite con la Chiesa ortodossa russa in genere, anche se certamente godono di qualche protezione nella gerarchia. 

In secondo luogo, occorre comprensione per una Chiesa come quella ortodossa russa che non ha mai sviluppato una dottrina della libertà religiosa. Talora la confonde con la tolleranza, che è una cosa diversa, o con la semplice libertà di culto. Secondo le convenzioni internazionali, che peraltro la Russia ha sottoscritto, la libertà di religione comprende la libertà di missione e anche quella di proselitismo, che significa — in Russia — andare da un fedele ortodosso, spiegargli, magari in termini coloriti, che la sua religione è falsa e non lo condurrà alla salvezza eterna, e cercare di convertirlo a un’altra religione.

Si può pensare che il proselitismo — come insegna Papa Francesco — sia “una sciocchezza” o un modo improprio di fare missione. Un’organizzazione religiosa, come oggi, o meglio a partire almeno da Paolo VI, la Chiesa cattolica, può decidere liberamente di rinunciarvi. Ma non lo si può vietare per legge, né — come ha ricordato tante volte la Corte Europea alla Russia, e anche alla Grecia in materia di Testimoni di Geova e alla Francia proprio in tema di Scientology — si può cercare di ostacolarlo usando obliquamente altre leggi relative all’ordine pubblico, all’economia o al fisco. Il diritto al proselitismo sta dentro le convenzioni internazionali in materia di libertà religiosa. Alcuni Paesi islamici si rifiutano da sempre di aderire a tali convenzioni. Ma la Russia le ha firmate.

La Chiesa ortodossa non ha avuto un Vaticano II e molti suoi esponenti faticano a comprendere la storia e la logica che stanno dietro alla dichiarazione sulla libertà religiosa del Concilio Dignitatis humanae. Né ha esperienza di regimi democratici: non lo erano ovviamente quello zarista e quello sovietico e non lo è neppure completamente quello di Putin, che pure non va neppure esso totalmente identificato con le intemperanze degli attivisti “anti-sette”, anche se qualche volta li manipola e se ne serve per un certo “lavoro sporco”. Così, la Chiesa ortodossa mantiene la sua nozione anacronistica di “territorio canonico” in cui le altre religioni non potrebbero entrare per cercare di convertire fedeli ortodossi al loro credo. Non va demonizzata per questo, ma va aiutata a superarla con la pazienza e il dialogo, valorizzando semmai la sua grande storia e le sue ricchezze artistiche e liturgiche.

In questo dialogo c’è un errore da non commettere, frequente presso organizzazioni private e anche governative degli Stati Uniti. Non si può proporre, e tanto meno imporre, agli ortodossi e ai russi in genere il modello della Costituzione americana, in cui tutte le religioni, grandi o piccole, nuove o recenti, sono rigorosamente considerate uguali ed è vietato allo Stato esprimere particolare considerazione per una o per alcune. Questo modello, eccellente per gli Stati Uniti, è legato alla storia americana, che non è quella russa. Certamente le religioni debbono essere trattate in modo ugualmente equo dalla legge e vedersi tutte garantite le libertà fondamentali. Ma non è contro la libertà religiosa — e anche questo è stato più volte stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (che, tra parentesi, non è un organo dell’Unione Europea ma del Consiglio d’Europa, di cui la Russia fa parte) e dall’Osce (di cui pure la Russia è Stato partecipante) — il fatto che uno Stato decida di riconoscere il ruolo speciale di una o più religioni nella storia del Paese, assicurando loro un riconoscimento e una collaborazione con le autorità che non è concessa ad altre organizzazioni religiose. 

È il caso della Chiesa anglicana in Inghilterra o della Chiesa cattolica in Italia, dove la Costituzione assegna al Concordato un ruolo speciale, pur prevedendo Intese con altre religioni significative e assicurando la libertà religiosa a tutti. Potrebbe essere il caso della Chiesa ortodossa in Russia. È il modello italiano, non quello americano, che può essere indicato ai russi in un dialogo aperto e amichevole.