La lotta all’immigrazione di Donald Trump è davvero senza quartiere e rischia di coinvolgere direttamente anche 114 cristiani caldei iracheni. Sono loro, infatti, i destinatari di un ordine di rimpatrio che potrebbe costargli la tortura o la morte. Con queste motivazioni gli avvocati dell’organizzazione American Civil Liberties Union hanno convinto il giudice distrettuale di Detroit, Mark Goldsmith, che i 114 cittadini interessati dal provvedimento, molti dei quali negli Usa da decenni, hanno il diritto di restare in America. Come riportato da L’Avvenire, la sentenza sospende per almeno 15 giorni l’ordine di rimpatrio, che era scaturito dall’arresto da parte degli agenti dell’immigrazione, Ice, che avevano trovato gli iracheni senza documenti di soggiorno dando seguito agli ordini di espulsione emessi dalla nuova amministrazione Trump sulla base di presunte incriminazioni penali, che però non risultano alle associazioni in difesa di rifugiati e migranti.



-Sono in tanti, dunque, a sospettare che alla base degli arresti dei 114 iracheni oggetto del provvedimento di rimpatrio, vi siano semplici segnalazioni dei servizi fedeli all’ex dittatore Saddam Hussein o reati minori non in grado di giustificare un rimpatrio che significherebbe persecuzione nella migliore delle ipotesi. A favore dei cristiani caldei finiti nel mirino di Trump, bisogna aggiungere che le nuove regole sulle deportazioni consentono agli agenti di frontiera di detenere chiunque “nel giudizio di un ufficiale di immigrazione costituisca un rischio per la sicurezza”. Ed è proprio questa eccessiva discrezione a suscitare una certa inquietudine nel mondo cattolico e non. Non è un caso che il patriarca di Baghdad, Louis Raphael I Sako, abbia inviato una lettera al vescovo caldeo Frank Kalabat, alla guida dell’Eparchia di San Tommaso Apostolo a Detroit, esprimendogli solidarietà e vicinanza alle famiglie degli iracheni interresati dal provvedimento di deportazione. 

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