Il primo passo per la riapertura di un canale diplomatico e di dialogo con l’Egitto dopo il ritiro del nostro ambasciatore dal Cairo in seguito al caso Regeni, è stato compiuto con la visita di una delegazione istituzionale italiana guidata dal senatore Nicola Latorre che ha incontrato il presidente Abdel Fattah Al Sisi. Il quale ha sottolineato l’importanza della riapertura di questo dialogo storico fra i due paesi, “in modo da contribuire ad aumentare l’interazione popolare e da aggiungere nuovo slancio alle relazioni d’amicizia privilegiate fra i popoli egiziano e italiano”, ha detto. Di questo abbiamo parlato con il giornalista egiziano Sherif el Sebaie.



Stiamo assistendo a una riapertura di dialogo fra Italia ed Egitto. Ritiene che la decisione di ritirare l’ambasciatore italiano sia stata una decisione estrema ed esagerata?

Credo proprio si sia trattato di una decisione affrettata, presa sull’onda dell’emotività e sotto la pressione dei media. Una decisione che non è stata accuratamente valutata soprattutto nelle sue conseguenze, come poi si è verificato.



Nel concreto cosa intende?

Dopo tutto questo tempo non è che ci sia stato chissà quale progresso sul caso Regeni; nel frattempo non dico gli interessi, perché poi la parola interessi presuppone qualcosa di negativo, ma sicuramente questioni che sono di importanza vitale per entrambi i popoli sono rimaste in una fase di congelamento che non fa bene a nessuno.

La riapertura del dialogo invece che benefici può portare ai due paesi?

I benefici sono molteplici. Stiamo vivendo un momento storico difficile per il Mediterraneo, lo vediamo con l’emigrazione, lo vediamo nel Medio oriente con l’Isis e con l’impatto che le milizie islamiste hanno anche in Egitto, soprattutto nel Sinai. Non si tratta solo degli interessi dei nostri due paesi ma di tutto il bacino del Mediterraneo, del Nordafrica e per la stabilità di tutta l’area. Ecco l’importanza di un dialogo tra Italia e Egitto per questioni relative alla sicurezza dei due continenti.



In particolare per l’Egitto che importanza riveste questo dialogo?

Pensiamo alla sicurezza economica ed alimentare: l’Egitto è in una situazione economica difficile da tempo, stiamo parlando di 90 milioni di persone che vivono una situazione economica molto dura, così come per il turismo da cui dipende una buona percentuale del Pil del paese. Se l’Egitto non riesce a riprendersi economicamente, potrebbe subire ondate massicce di emigrazione. Se a questo aggiungiamo l’elemento destabilizzatore degli islamisti, ne viene che l’Egitto potrebbe trasformarsi in una bomba capace di travolgere tutto il Mediterraneo. 

Il Consiglio europeo sta discutendo la possibilità di aprire campi profughi in Tunisia, Algeria ed Egitto per sconfiggere il traffico di uomini in Libia. Pensa sia fattibile?

In realtà l’Egitto fra tutti i paesi menzionati sta già facendo molto. Ha accolto centinaia di migliaia di siriani, dall’Africa subsahariana, dal Sudan, dall’Etiopia, numeri importanti per un paese in grosse difficoltà economiche. Ciò nonostante ha fatto quello che è nelle sue possibilità, grazie a un lavoro dal basso, per integrare persone con benefici anche per l’Egitto stesso. Un ulteriore impegno dell’Egitto in questo senso non può prescindere da aiuti economici europei.

Cosa intende per aiuti dal basso ai profughi?

Intendo che essendo il governo egiziano in grosse difficoltà a fornire servizi ai propri cittadini, era impensabile potesse sopperire ai profughi. Ma essendo il popolo egiziano notoriamente ospitale e aperto all’inclusione, soprattutto nel caso dei siriani si è realizzato un bene comune, ad esempio con l’apertura di attività commerciali in cui vengono impiegati anche egiziani.

Della visita del papa in Egitto cosa è rimasto?

Innanzitutto anche in questo caso la riapertura di un dialogo che si era bloccato e che papa Francesco ha riaperto. Bergoglio ha dato grande spinta al dialogo interreligioso in un momento in cui il governo spinge a una riforma religiosa per contrastare il fondamentalismo. La presenza del papa è stato un segnale dal punto di vista religioso a uno sforzo di riforma più importante che mai in questo momento storico.

Tornando al caso Regeni, lei stesso ha detto che non si sono fatti grandi passi. Crede si arriverà a una verità completa su quanto accaduto?

E’ un caso con molti contorni oscuri e strani che possono dare adito a decine di ipotesi e speculazioni. Credo che il fatto che l’Egitto non sia riuscito a fornire elementi sia una situazione difficile anche per il governo da capire e gestire, c’è qualcosa di molto complesso e non penso si arriverà presto alla soluzione definitiva. C’è qualcosa di molto di più di quello che possiamo immaginare dietro a questo omicidio. Credo che casi del genere richiedano anni prima di poter risalire a una seppur parziale comprensione della dinamica dei fatti. Del resto è successo così anche in tante casi italiani.