“Non ho nemici, non provo odio”. Sono queste le parole che disse a nome di Liu Xiaobo l’attrice e regista norvegese Liv Ullmann al momento della consegna (in sua assenza perché in carcere) del Premio Nobel per la pace nel 2010. La sua sedia era vuota. Morto in condizioni penose, malato da lungo tempo, con la moglie in un’altra galera, Lui Xiaobo (1955-2017) scompare quasi nell’indifferenza generale, sia quella dell’occidente, che si è mosso solo in questi ultimi giorni, che dei cinesi stessi. Come ci ha detto in questa intervista Francesco Sisci, editorialista di Asia Times, “non era un trascinatore di folle, non godeva di popolarità nel suo paese” nonostante fosse stato tra i protagonisti di Piazza Tienanmen, in cui si recò appositamente da New Tork, dove viveva liberamente da tempo. Non sarebbe più tornato, passando da una condanna all’altra fino alla parodia di una morte che mostra ancora una volta tutto il disprezzo per la vita umana da parte del regime di Pechino: facendo finta cioè di ricoverarlo in un ospedale fuori del carcere per avere cure migliori. Per Sisci, “il messaggio che Pechino dà con questa morte non è dei migliori”.



Portato nell’ospedale civile di Shenyang solo per non far vedere che sarebbe morto in carcere: che impressione le fa questa morte?

E’ un gravissimo episodio. Tra l’altro non era neanche stato scarcerato, era comunque in stato di detenzione. Non conosciamo esattamente che cosa sia accaduto, ma senz’altro è stato un tentativo di apparire “umani” sapendo benissimo che aveva i giorni contati.



Perry Link, traduttore americano dei suoi libri, ha detto che “l’Occidente guardava dall’altra parte mentre lui moriva”. E’ così?

Va detto che ci sono due problemi. Il primo è che Liu in Cina non era questa personalità enorme conosciuta da tutti, per capirci non era un Solženicyn. Non trainava l’opinione pubblica. Per cui la solidarietà in Cina e fuori della Cina nei suoi confronti era assai limitata.  

Non è una bella cosa che ci si muova solo per la libertà delle persone famose, no?

Diciamo pure che questa morte in queste circostanze è una cosa pessima per tutti, ma anche per la pace mondiale.



Perché?

Perché, e questo è il secondo punto, si addensano altre nubi minacciose intorno alla Cina, tensioni e polemiche, che già ci sono, e il messaggio che Pechino dà con questa morte non è dei migliori.

E’ passato alla storia per il suo ruolo in Piazza Tienanmen, non era certo una figura di secondo piano.

Diciamo che è stato uno dei protagonisti, non il protagonista maggiore. Negli ultimissimi giorni prima della repressione, con i carri armati già pronti a intervenire, fece parte di quel gruppetto di quattro personalità non studenti che iniziarono uno sciopero della fame per indurre le autorità a trattare. Ma era ormai troppo tardi.

In carcere sarebbe finito solo anni dopo, esatto?

Fu privato di molte libertà personali, ma venne arrestato solo il 25 dicembre 2009, a causa di un manifesto, “Charta 2008”, firmato con altri 300 attivisti, che chiedeva la fine del partito unico e riforme costituzionali.

Piazza Tienanmen si risolse in un bagno di sangue, tentativi come Charta 2008 con il carcere. Qual è la strada per una battaglia per i diritti civili in Cina? Ne esiste una?

I due episodi citati appartengono a due epoche storiche diverse. Piazza Tienanmen è come parlare dell’epoca dell’Impero romano, un manifesto per le riforme costituzionali è come dire il Rinascimento.

Intende che le cose sono cambiate almeno un po’ in Cina?

Oggi nessuno andrebbe in piazza come ai tempi di Tienanmen, tanto meno per Xiaobo.

Perché?

La maggior parte del popolo cinese non è più interessata ai diritti umani. Il regime ha fatto grandissime aperture dal punto di vista economico, la gente gode di una grande libertà personale, soprattutto quella di fare soldi. Basta che non si interessi di politica.

Sono stati comprati dal denaro, altro che oppio del popolo…

Per affrontare un discorso relativo a un cambio di politica bisogna cambiare completamente il modo di pensare e di porsi. La Cina è come una enorme balena, non si va a pescarla con il filo per le sardine.

(Paolo Vites)