Le guerre che stanno mettendo a ferro e fuoco il Medio Oriente dimostrano in modo sempre più evidente il declino dell’Onu. I tentativi per porre fine ai vari conflitti sono lasciati ai belligeranti locali e ai loro sponsor esterni nella sostanziale ininfluenza del Palazzo di Vetro. L’unica meritoria presenza delle Nazioni Unite si riscontra nell’assistenza ai profughi e nella gestione dei relativi campi: benemerita Ong accanto ad altre benemerite Ong. La funzione primaria dell’Onu dovrebbe però essere quella di operare per evitare lo scoppio di guerre e agire perché cessino al più presto là dove siano scoppiate. Altrimenti, tanto varrebbe chiudere questa costosa e burocratica organizzazione, mantenendo potenziate solo le anzidette attività di assistenza.



Il coinvolgimento dell’Onu in Libia iniziò nel marzo del 2011, con una deliberazione del Consiglio di Sicurezza proposta dalla Francia. Vennero così decise delle zone di interdizione al volo a difesa delle popolazioni civili coinvolte negli scontri tra governativi e ribelli. Le operazioni vennero poi prese in carico dalla Nato e terminarono nell’ottobre dello stesso anno con la morte di Gheddafi. Si andò così di fatto al di là della delibera del Consiglio, che non prevedeva un cambiamento di regime, nell’interesse invece della Francia propugnatrice dell’intervento. L’Onu non è stato in grado di gestire neppure il caos seguito alla caduta di Gheddafi. Anche la sua decisione nel 2015 di insediare a Tripoli un cosiddetto governo di unità nazionale, con a capo al Serraj, non ha portato cambiamenti positivi nella situazione. Il paradosso è che fino a quel momento la Comunità internazionale aveva considerato legittimo il parlamento di Tobruk e non quello di Tripoli, ritenuto condizionato da movimenti jihadisti. La reale influenza di al Serraj è estremamente limitata, con difficoltà nella stessa Tripoli, mentre le milizie del generale Haftar, appoggiate da Tobruk, controllano vaste aree del territorio libico.



In Siria, gli Stati Uniti e le altre potenze sono intervenute contro il governo di Assad in sostegno della dissidenza interna. Almeno agli inizi, un’interferenza negli affari interni di uno Stato che, a norma di statuto, non rientra nelle competenze dell’Onu. Questa operazione di regime change ha poi coinvolto direttamente sul fronte avverso altri Stati, come Iran e Russia, e indirettamente anche la Cina. La vicenda siriana vede così coinvolti tutti i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e più volte le deliberazioni sulla Siria sono state bloccate dal veto di Russia e Cina. La Siria è un’ulteriore prova dell’attuale impotenza dell’Onu di fronte agli interessi dei suoi “azionisti di maggioranza”.



Anche la sanguinosa guerra in corso nello Yemen rappresenta l’ingerenza armata di uno Stato, l’Arabia Saudita, nelle questioni interne di un altro Stato. Il fatto che alle spalle dei sauditi vi sia una coalizione internazionale non cambia la sostanza delle cose. Ma l’Onu non è riuscito ad andare oltre la definizione della situazione in Yemen come la più grave crisi umanitaria dalla fine della Seconda guerra mondiale. 

Mentre Stati Uniti e loro alleati conducono queste operazioni contro regimi considerati dittatoriali, continuano le reprimende sulla guerra di George Bush in Iraq per abbattere Saddam Hussein. Eppure è difficile considerare quest’ultimo diverso da Gheddafi o Assad: ciò che è diverso è l’interesse dei vari attori esterni, magari per ragioni di politica interna. È altrettanto difficile considerare il regime salafita saudita più democratico della teocrazia sciita dell’Iran. All’Onu sembrano tuttavia pensarla diversamente, visto che all’Arabia Saudita è stata attribuita nel 2015 la presidenza della Commissione sui diritti umani. Cui si è aggiunta quest’anno la nomina di un rappresentante saudita nella Commissione sullo status delle donne.

Ormai da parecchi anni è in corso la discussione su diverse proposte di riforma del Consiglio di Sicurezza, ma un accordo è reso molto difficile dalla disparità di vedute tra i 193 membri. Viene da pensare che, tutto sommato, ai tutori del Nuovo Ordine Mondiale le Nazioni Unite e altri organismi internazionali vadano bene così come sono.